Steve Jobs non abita più qui

Michele Masneri propone con “Steve Jobs non abita più qui” un reportage dalla California scritto con stile fresco e simpatico. Lo stato americano viene descritto sia per quanto riguarda le vecchie comunità hippy sia per le mega imprese tecnologiche che da qui dominano il mondo tech.

  

I capitoli sono costituiti da vari reportage, alcuni già usciti sul Foglio, altri riscritti e inediti. Ogni capitolo ci narra qualcosa di diverso. Si parte dalla baia di San Francisco con un tour virtuale tra Mission, Palo Alto, Cupertino e Mountain View. San Francisco è una città dalle mille contraddizioni in cui i miliardari convivono con i senzatetto. Caratterizzata da una forte gentrificazione e da leggi urbanistiche molto severe, la città è un posto in cui è impossibile costruire e complice la grande domanda di alloggi, i prezzi sono impennati, e di conseguenza il ceto medio è emigrato altrove. Si trovano quartieri ex popolari come Mission che vengono presi d’assalto dai nuovi ricchi come Zuckerberg e ingegneri della Silicon Valley costretti a dormire nei vani scala o nelle case mobili.

dopo qualche mese, ti rendi conto che non c’è nessuno con cui parlare: i ricchissimi stanno blindati nei loro compound; gli startupper pensano solo a come fare il primo miliardo, nei loro sottoscala; i barboni barboneggiano. Professori, avvocati, giornalisti, artisti, insomma la classe media, vanno altrove.

Una parte fondamentale del libro è quella dedicata al mondo delle startup e ai suoi abitanti, soprattutto quelli più eccentrici. Si raccontano l’importanza di Peter Thiel, le vicissitudini di Travis Kalanick e il mondo in cui le persone sono soggette al controllo reciproco delle app. Per ogni bisogno basta sfogliare il parco applicazioni dello smartphone, ognuno può essere giudice e imputato nel mondo delle recensioni, da Uber a Airbnb.

Ciò che rimane fuori delle due coste è in questo caso l’America che perde le industrie, soffre la disoccupazione, e vota di conseguenza. Simbolo: Detroit, la decotta capitale dell’auto. Ci sono infatti due Americhe: una tecnologica e avanzata dove si guadagna bene e si spende tanto, e sta soprattutto qui a San Francisco, a Seattle, a New York, o in qualche altro posto della bolla liberal sulle due coste; e poi c’è la seconda America, che è rimasta indietro, fatta di tante zone del Midwest, quei fly-over dove non si fa scalo.

Oltre al mondo tech, in cui tutti (in cuor loro) hanno almeno un’idea per una startup degna del titolo di unicorno, Masneri descrive anche la vita della città. I trasferimenti lungo i bus organizzati dalle grandi aziende, le marce per i diritti, il senso di astio verso le politiche trumpiane, gli approcci tramite app, le saune gay e le pillole Prep per paura delle malattie.

Le lenti mi fanno capire un po’ di più dell’America e del suo sistema economico: tu con la tua ricetta paghi l’ottico, che si è indebitato a vita per laurearsi nella sua primaria università; il macchinario forse inutile tiene in vita un pezzo di industria medica; tu invece che spendere venti dollari ne hai spesi centoventi. È così che si diventa una grande economia. (Da allora, quando entro dal mio ottico a Roma, provo un commovente senso di appartenenza alla vecchia Europa).

Una parte interessante dei vari reportage è composta da interviste a celebrità di vari settori, tra cui spiccano quelle letterarie, con le incursioni di Jonathan Franzen e Bret Easton Ellis. Da una parte c’è lo scrittore ritirato su un eremo solitario in fissa con l’ornitologia e dall’altro il reduce dei mega party che con podcast e sceneggiature ce l’ha con il politicamente corretto e le sue contraddizioni. 

Il libro nel suo complesso è un’ottima lettura, con una scrittura umoristica e con continui rimandi alla situazione italiana. Viene voglia di saperne di più sull’America in generale, e non soltanto su quello spicchio di costa Est. Per una lettura più generale consiglio “Questa è l’America” di Francesco Costa, che ho recensito a questo link

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