Ascolto consigliato: “Il gioco del mondo”
– Jovanotti
La rayuela è il nome argentino di quello che
in Italia è conosciuto come il gioco della campana. Il disegno di tante caselle
sull’asfalto assume la forma di una campana, da cui il nome, e costituisce la
base del gioco, che consiste nel muoversi tra le varie caselle. “Rayuela” non è
un libro quindi, è un gioco a cui Cortázar sfida il lettore a giocare. È un
libro strano, anzi sono molti libri, intrecciati uno dentro l’altro come un
labirinto, in cui il libero arbitrio del giocatore/lettore deve scegliere che
direzione intraprendere ad ogni bivio. Basta lanciare la pietra e vedere a che
capitolo si arriva.
È strutturato in tre parti: “Dall’altra
parte”, “Da questa parte” e “Da altre parti”.
La caratteristica fondamentale del libro è
la sua struttura. Infatti le prime due parti si possono leggere come un libro
normale, con un inizio ed una fine. In quest’ottica la terza parte può
risultare totalmente superflua. Tuttavia la peculiarità del libro, inteso come
gioco, risiede nel fatto che il lettore può seguire una particolare sequenza di
lettura dei capitoli. Cortázar ne suggerisce una in modo da fare viaggiare il
lettore avanti e indietro lungo i capitoli delle tre parti. Tuttavia nulla
vieta di seguire un ordine proprio, immaginando un mondo originale e diverso.
Il protagonista è Horacio Oliveira, uno pseudo
intellettuale che nella prima parte si trova a Parigi. Nonostante i suoi 40
anni conduce una vita da eterno studente in fuga dall’originaria Argentina,
dove vive la famiglia che lo mantiene. Nella sua vita da bohemien il suo unico
impiego è passare il tempo con gli amici del Club del Serpente, con cui discute
di questioni filosofiche e metafisiche. Tra i membri del club ci sono vari
ragazzi, esuli del mondo, arrivati a Parigi per condurre una vita d’artista.
Tra queste persone c’è Lucia, una ragazza uruguaiana di cui di cui si innamora
e con cui va a convivere. Oltre ad avere un figlio chiamato Rocamadour, come il
comune francese, Lucia è caratterizzata dal suo soprannome “la Maga”, poiché a
differenza degli amici, eruditi e fieri del loro intelletto e delle loro
citazioni, non ha un’erudizione di simile livello e si affida di più al pragmatismo
quasi infantile e alla sua visione magica del mondo. La sua partecipazione al
Club è caratteristica poiché non comprende quasi mai gli argomenti e, di fronte
alle spiegazioni fornite, cerca di interpretare i vari concetti e spiegarli con
la sua visione del mondo.
Si potrebbe definire la figura di Horacio
con il termine perdigiorno, perché durante le sue giornate non combina
praticamente nulla. Le riflessioni a ritmo di jazz che intrattiene al Club sono
esasperate e figlie di un intellettualismo sterile. Il vero scopo di Horacio è
la ricerca di un senso alla sua vita, un senso generale, quello che lui chiama il
Centro. Una sorta di Stele di Rosetta con cui interpretare la vita, liberarsi
da tutti gli orpelli, superare i fiumi metafisici e giungere alla verità.
Tuttavia questa ricerca risulta essere vana e questo accresce la sua
inquietudine e la sua malinconia.
"Cercare era il mio destino, l’emblema di coloro che escono la
notte senza alcuna precisa intenzione, lo scopo degli assassini di
bussole."
I giorni al Club passano e si ripetono
sempre uguali a sé stessi. Impegnati nelle loro riflessioni e fieri della loro
superbia intellettuale non riescono a connettersi con la realtà. Il loro
distacco è esemplificato dalla tremenda morte di Rocamadour, lasciato perire
senza portarlo all’ospedale, ma continuando i discorsi filosofici.
Dopo la morte del figlio la Maga comincia
a perdere il senno. Oltre alla sua perdita deve anche affrontare il distacco da
Horacio, che in realtà la tradiva anche con un’altra ragazza. La Maga scappa e
fa perdere le sue tracce. Horacio vive situazioni surreali, dall’incontro
fortuito con Morelli, un vecchio scrittore avanguardista, fino ad un concerto
di piano di cui rimane l’unico spettatore. Costretto dalla legge e dalla
necessità, ritorna in Argentina, dove si svolge la seconda parte del romanzo.
L’Argentina è da questa parte, inteso come
una vicinanza, mentre l’Europa era dall’altra parte, una lontananza che non è
solo fisica ma anche di atteggiamento mentale. Il ritorno alle origini di
Horacio comincia con l’incontro con l’amico Traveler e la sua compagna Talita.
“Il gioco del mondo si fa con una pietruzza che si deve spingere con la
punta del piede. Ingredienti: un marciapiedi, una pietruzza, una scarpa, e un
bel disegno con il gesso, preferibilmente colorato. In alto è il Cielo, sotto
la Terra, è molto difficile arrivare con la pietruzza al Cielo, quasi sempre si
calcola male e la pietruzza esce dal tracciato. A poco a poco però si acquista
l’abilità necessaria per conquistare ciascuna delle caselle e un bel giorno
s’impara ad uscire dalla Terra e far risalire la pietruzza fino al Cielo, fino
a entrare nel Cielo, il guaio è che proprio a questo punto, quando quasi
nessuno si è mostrato capace di risalire la pietruzza fino al Cielo, termina
d’un tratto l’infanzia e si cade nei romanzi, nell’angoscia per il razzo divino, nella speculazione a
proposito di un altro Cielo al quale bisogna imparare ad arrivare. E perché si
è usciti dall’infanzia si dimentica che per arrivare al Cielo occorrono, come
ingredienti, una pietruzza e la punta di una scarpa.”
Alle discussioni metafisiche di Parigi
subentrano discorsi sul passato e sui ricordi, conditi dal confronto tra le
vite dei due vecchi amici. Il rapporto tra i tre diventa subito surreale. Per
esemplificare Horacio un giorno si mette a raddrizzare chiodi con una
mattonella. Avendo bisogno di chiodi chiede a Traveler e Talita di passarglieli.
Abitando in palazzi posti uno di fronte all’altro basterebbe fare le scale, ma
i due issano delle travi tra le finestre, costruendo una sorte di ponte tra le
due case, sul quale Talita passa da una parte all’altra, per poi tornare
indietro. Il ponte è una metafora del gioco del mondo, Talita, come la Maga, ha
la capacità di giocare, di passare dalla Terra al Cielo, lì dove Horacio non
riesce ad arrivare. Il Cielo è la destinazione finale, è quel senso che Horacio
cerca invano di cogliere nella vita. Il Cielo diventa quindi un’ossessione per
Horacio, che riesce solo ad ammirarlo da distanza senza potervi giungere,
bloccato com’è nella prima casella del gioco del mondo, la Terra.
Questa situazione surreale, che lascia
stupefatto chi la guarda da sotto (ma soprattutto chi la legge!), è un punto di
svolta, perché Horacio comincia a riconoscere la Maga nella figura di Talita.
Horacio è ancora afflitto dall’abbandono della Maga e, quasi per sfogare la
depressione dovuta alla perdita, si innamora di Talita, fino a baciarla in un
obitorio. Questo amore è tuttavia proibito, sia perché è la compagna di
Traveler, sia perché lei in realtà è solo un simbolo, che rappresenta solamente
ma che non esiste: non è la Maga, è solo il suo ricordo. Questa impossibilità
fa impazzire definitivamente Horacio che, ormai nel suo nuovo lavoro in
manicomio, decide di farla finita.
Oltre che dalla trama, il libro,
soprattutto la parte “superflua”, è formato da tanti frammenti di scrittura,
spunti di pensieri, annotazioni e citazioni varie. “Da altre parti” contiene
soprattutto la visione di Cortázar su molti aspetti, in primis sulla struttura
del libro. Infatti tramite un espediente narrativo, Cortázar sfrutta gli
scritti di Morelli, un vecchio scrittore di cui Horacio e gli amici ritrovano
l’archivio, per descrivere il suo punto di vista.
“Da qualche parte Morelli cercava di giustificare le sue incongruenze
narrative sostenendo che la vita degli altri, quale ci appare nella cosiddetta
realtà, non è cinematografo ma fotografia, cioè che noi non possiamo afferrare
l’azione ma unicamente i suoi frammenti elasticamente ritagliati. Non esistono
che gli attimi in cui ci troviamo con quell’altro la cui vita crediamo di
capire, o quando ci parlano di lui o quando lui ci racconta quel che gli è
capitato o alla nostra presenza propone che quel che ha intenzione di fare.
Alla fine non resta che un album di fotografie, di attimi fissati; mai il
divenire che si realizza davanti a noi, il transito dall’ieri all’oggi, la
prima lancetta dell’oblio nel ricordo. Per questo non era per niente strano
ch’egli parlasse dei propri personaggi nel modo più spasmodico che si potesse
immaginare; dare coerenza alla serie di fotografie perché diventassero
cinematografo (come sarebbe piaciuto enormemente al lettore-femmina),
significava riempire con la letteratura, presunzioni, ipotesi ed invenzioni gli
iati tra una fotografia e l’altra. Qualche volta le fotografie mostravano una
schiena, una mano, su una porta, la fine di una passeggiata in campagna, la
bocca che si apre per gridare, delle scarpe nel guardaroba, della gente che cammina
per il Champ de Mars, un francobollo usato e così via. Morelli pensava che
l’esperienza vissuta di quelle fotografie, che lui cercava di rendere con tutta
l’evidenza possibile doveva mettere il lettore in condizione di avventurarsi,
quasi di partecipare al destino dei suoi personaggi. Ciò che lui man mano
scopriva su di essi per via immaginativa, si concretizzava immediatamente in
azione, senza artificio alcuno destinato ad integrarlo in ciò che già stava
scritto o stava per esserlo. I ponti fra l’una e l’altra istanza di quelle vite
così incerte e pochissimo caratterizzate, dovevano essere presupposti o
inventati dal lettore, dalla maniera di pettinarsi, se Morelli non la indicava,
fino alle ragioni di un comportamento o del suo contrario, nel caso sembrasse
insolito o eccentrico. Il libro doveva essere come quei disegni proposti dagli
psicologi della Gestalt, e così certe linee avrebbero indotto l’osservatore a
tracciare per via immaginativa quelle che conchiudevano la figura. Qualche
volta però le linee assenti erano le più importanti, le uniche che veramente
importavano. La civetteria e la petulanza di Morelli in questo campo non
avevano limiti.”
Con questa dichiarazione è lo stesso Cortázar
ad uscire allo scoperto, dichiarando il suo punto di vista sulla struttura di
Rayuela. Le decine di citazioni e di frammenti sono solo fotografie che si
seguono senza un senso definito. Così tutto acquisisce un senso per così dire
nella mancanza di un quadro generale: per violentare la classica struttura del
libro, concreto e lineare (con il paragone di una vita lineare e sensata), Cortázar
aggiunge capitoli che definisce superflui comprendenti ad esempio citazioni
francesi e surreali articoli di giornale, come quello sui pericoli connessi ai
prepuzi e alle chiusure lampo.
La struttura, che può sembrare un
esercizio di stile o di superbia letteraria, per Cortázar, riflette la vita
reale e i ricordi nella mente delle persone. Esistono solo attimi, fotografie
che rimangono impresse. È inutile cercare di dare un senso a quello che si
interpone tra una foto e l’altra. Da quest’ottica deriva la possibilità di
leggere il libro come meglio si crede, passando liberamente da un capitolo
all’altro senza dover seguire un ordine prestabilito. Nelle ultime righe del
pezzo citato è lo stesso Cortázar a lasciarci in dubbio sul finale del libro,
cosa succederà ad Horacio? La sua risposta, o meglio quella di Morelli, sta nel
non dirlo, lasciar scegliere al lettore.
Nel complesso il libro, oltre che alla
struttura caratteristica e ai pensieri pseudo-filosofici espressi da Horacio,
regala una scrittura coltissima (spiegata per fortuna da tantissime note),
impreziosita da vari gioielli.
Una prima chicca riguarda un espediente
narrativo fantastico ed innovativo. Ad un certo punto Horacio si trova a
leggere un libro e nel mentre pensa alla sua vita. Tale momento è espresso in
una scrittura alternata su righe sovrapposte: una riga riguarda il pensiero di
Horacio, la successiva il libro letto e così via in una fusione intima tra
pensieri e personaggi.
Il libro è caratterizzato inoltre da parti
sublimi sull’amore tra Horacio e la Maga. Un primo esempio riguarda un gioco
che i due amanti praticano a Parigi: si danno appuntamento in una certa zona ad
una certa ora, senza chiarire il luogo esatto. Il divertimento sta proprio nel
cercarsi l’un l’altro, cercando di intuire e prevedere le mosse altrui, un modo
di conoscersi a vicenda e per scoprirsi meglio.
"...convinta quanto me che incontrarsi per caso non era un caso
nelle nostre vite, e che la gente che si dà appuntamenti precisi è la stessa
che ha bisogno del foglio a righe per scriversi o che preme dal basso il
tubetto del dentifricio... Camminavamo senza cercarci pur sapendo che
camminavamo per incontrarci."
La poesia della scrittura di
Cortázar emerge dirompente come un vulcano, nel settimo capitolo, che racconta
la passione tra Horacio e la Maga.
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