In Italia la tradizione della letteratura operaia o “working class” è composta da grandi libri che nel corso degli anni hanno raccontato e fermato su pagina differenti aspetti; da quelli relativi all’industrializzazione nell’epoca del Boom e al suo impatto sulle vite come ad esempio “Donnarumma all’assalto” di Ottieri o “La vita agra” di Bianciardi. Oltre a questi esempi che rappresentano ormai dei classici del genere, ce ne sono anche di più recenti come “Works” di Vitaliano Trevisan o “Ipotesi di una sconfitta” di Giorgio Falco.
Nel solco di questa tradizione si inserisce “Il pane e le rose”. Si tratta di una raccolta di racconti di nuove voci in questo panorama letterario. Dall’introduzione del curatore della raccolta Alberto Prunetti si può evincere come il libro sia il frutto di un’iniziativa partita dal basso, e per questo scardinante.
La classe operaia che si racconta da sola fa sanguinare di rabbia il potere. Nei festival letterari sopracitati si srotolano tappeti rossi di fronte a scrittori, critici o giornalisti. Se invece un festival nasce dalla convergenza culturale tra operai e lavoratori della cultura, ecco che ci si ritrova con droni, minacce e sgherri in incognito. Niente – né gli scioperi, né i picchetti, né le manifestazioni – niente come il Festival di letteratura working class ha dato fastidio a chi vuole porre fine alla lotta degli operai della Gkn; come se l’immagine di un operaio che fa un reading letterario o sale sul palco di un teatro fosse pepe soffiato negli occhi delle persone bennate.
I temi dei racconti sono differenti tra loro. C’è l’immigrato italiano che scappa in Australia in cerca di un’opportunità di lavoro ma si ritrova alle prese con le condizioni dettate dall’immigrazione, visto semplicemente come carne da sfruttare per il lavoro. Se il lavoro può essere un problema, anche la sua assenza comporta delle criticità; infatti, in un racconto si parla di questo ragazzo che va in terapia a causa della sua cronica disoccupazione che lo porta a non sentirsi realizzato nella società.
Gli aspetti trattati nei vari romanzi sono molteplici, dal classico clima della fabbrica quasi cameratesco, fino al sentimento comune che si manifesta nelle condizioni di sciopero. Il racconto che più mi ha colpito è sicuramente “Deserto” di Marco Pagli. Durante uno sciopero un operaio, come segno di protesta, decide di salire sulla ciminiera della fabbrica. Ogni scalino della salita è un ricordo, dai primi giorni del lavoro fino alle prime criticità, il tutto condito dai dolori della vecchiaia che comincia a farsi salire.
Il fatto è che per quanto la odiassi, la fabbrica finivi per amarla. Credo la amassimo tutti, odiandola con tutte le nostre forze. Si dice che i carcerati, dopo una lunga pena, soffrano la nostalgia del carcere. Non saprei dire. Non sono mai stato in carcere. Ma la fabbrica finivi per amarla
“Il pane e le rose” segna un nuovo sviluppo di un genere letterario, aggiornando ai canoni moderni quella sensibilità delle fabbriche che da tempo non trovava spazio nelle attuali librerie e liste di lettura.
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