Ascolto consigliato: “Time to pretend” MGMT
Gli animali notturni, citando il film di Tom Ford, sono quelli che di notte non dormono mai, ma approfittano del buio per vivere la loro vita. Lo stesso criterio si può applicare al primo libro di narrativa di Carlotta Vagnoli, incentrato sulle vicende di una serie di protagonisti che intrecciano i loro percorsi nella Milano degli anni 10 del 2000.
Se alla luce del sole le cose non funzionano, la notte possiamo essere tutto quello che ci hanno sempre sconsigliato di diventare. Mi sento affamata, di vita, di tempo da sbranare, di anestetici, di divertimento.
Il libro è diviso in tre parti, incentrate ciascuna su differenti personaggi. La prima è una ragazza che scopre la vita notturna fatta di locali e riti collettivi e comincia a diventarne dipendente. Ci sono i locali à la page, cui non si può mancare, in cui è permesso vivere tutte le contraddizioni senza limiti e senza regole. È un mondo con un preciso immaginario estetico, ci sono le foto sfocate con le luci fluo, le canzoni e i gruppi alternativi, i vestiti giusti per la selezione all’ingresso, ma c’è un comune denominatore e cioè la droga. Per sopportare l’alienazione dai problemi del giorno, i protagonisti si riempiono di sostanze, per divertirsi e non pensare ad altro. Uno dei punti di riferimento è sicuramente Mick, il secondo protagonista, una sorta di pr e dj, il re delle feste cool e alla moda, in cui tutti bramano di partecipare. Alienato dalla morte del suo migliore amico non riesce a trovare un senso alla sua esistenza abitudinaria nelle feste che col tempo perdono significato. La terza protagonista è un altro esemplare notturno, una ballerina in un locale notturno.
Il libro, oltre alle vicende personali, ha due grandi tematiche. La prima, quella della droga, insieme alla vita notturna viene vista come una soluzione ai problemi della classica vita diurna: se non si può più contare su un lavoro ordinario che ti soddisfi, tanto vale cercare qualcosa di divertente nella notte e abituarsi al buio, nascondendo il dolore sotto fiumi di sostanze.
la nostra scelta, di noi come generazione, è vivere velocemente e morire giovani, che il nostro destino è già scritto e quindi tanto vale spassarsela, perché le alternative – la vita dei nostri genitori, la borghesia, il benessere – non esistono piú.
La seconda tematica, sicuramente correlata alla precedente, è la critica alla società, sia per lo sfruttamento dei giovani sia per gli inizi di gentrificazione della Milano pre-Expo; il centro si ripulisce, spingendo le persone nella periferia più estrema, costringendo le persone ad adattarsi a prezzi inaccessibili.
Il romanzo mostra una scrittura snella e si incastona in due grandi filoni narrativi, da una parte quello delle sostanze, cui rimanda direttamente con l’epigrafe di Bret Easton Ellis e dall’altra a quella delle critiche verso la città di Milano, cui si potrebbe vedere un precedente in Luciano Bianciardi.
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