Locus desperatus

 “Locus desperatus”, il nuovo romanzo di Michele Mari, narra di un’ossessione verso gli oggetti e dei ricordi che ne scaturiscono. Tutto comincia quando l’io narrante scopre all’improvviso una croce segnata sulla porta di casa. Temendo che sia il presagio di un imminente furto, lo rimuove celermente. Tuttavia, il segno ricompare prontamente e così succede ad ogni cancellazione. 


 

Il mistero relativo alla scritta viene svelato da un incontro fortuito del protagonista al bar; un uomo, di nome Asfragisto, gli spiega che la sua casa è stata attenzionata come una dimora di interesse per via dei cimeli che contiene, ma l’intenzione non è quella di un furto, ma quella di prendere possesso della casa e dei suoi oggetti per poter beneficiare dell’amore del protagonista verso i suoi ricordi. Il destino dell’inquilino è quello di sloggiare in un’altra casa, a sua volta espropriata.

Il protagonista è un accumulatore compulsivo di cimeli e pur di mantenere la sua casa e i suoi oggetti a cui ha associato ricordi di vita, incontra mille peripezie, tra cui personaggi assurdi come il vecchio barbone Procopio o l’entità di catrame Sileno. I cimeli sono i più disparati da copertine di film a statuine indiane, ma soprattutto libri, d’altronde stiamo parlando di un’opera scritta da Mari. La scrittura è quindi piena di citazioni di altre opere, come ad esempio “L’altra parte” di Kubin.

Mentre il protagonista cerca in ogni modo di difendersi, l’entità pericolosa che lo minaccia comincia subdolamente a colpirlo nei suoi ricordi e quindi nei suoi oggetti. I ricordi cominciano a svanire o a sfocarsi in versioni alternative, lasciando il dubbio su quale versione del passato sia quella corretta. Per una persona che si è donata totalmente ai suoi oggetti, la loro morte riguarda per proprietà transitiva anche la sua, un po’ come gli horcrux di Voldemort.

A furia di circondarvi di cose, amandole, collezionandole, vi ci siete a poco a poco trasferito, regalando loro quote sempre più consistenti della vostra personalità. Le avete personificate, giusto? e nel contempo vi siete spersonalizzato. Credevate di possedere, e sarà stato pur vero: solo, vi siete spossessato. Sicché noi – noi – io o il buffone di prima o certi altri che non oso nemmeno nominare, per prendervi l’anima non dobbiamo fare altro che prendere le vostre cose

Interi libri vengono dimenticati, ma è proprio nelle parole che il protagonista trova la sua arma di difesa; attraverso delle indagini etimologiche dal latino, la croce diventa un obelisco, fino a segnare dei riti vodoo con cui sedare gli spiriti maligni.

Al di là della versione narrativa, il libro introduce il tema della mancata fiducia verso i propri ricordi. La progressiva perdita di memoria e le confusioni associate possono essere lette sia come prodromi di Alzheimer, sia in senso più lato come inizi di follia.

Io avevo dato senso e vita alle cose, scegliendole, collezionandole, amandole, considerandole parte di me, immettendovi la mia energia, e loro mi avevano sempre restituito tutto contribuendo alla mia identità e alla mia biografia, modulando i miei pensieri e i miei sogni… Senza le mie cose io non sarei stato piú io, e senza di me (lo aveva insinuato anche Asfragisto, nel nostro primo colloquio) loro non sarebbero state piú loro: per questo, pateticamente, avevano creato un mio simulacro, che in mia assenza avrebbe dato loro l’illusione di essere sempre con me

Con un protagonista che sarebbe antipatico al Tyler Durden di Chuck Palahniuk e con una trama da libro pieno di suspence, Michele Mari propone, in poco più di un centinaio di pagine, un vero gioiello di scrittura e di citazioni.

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