Il dilemma dell'onnivoro

L’onnivoro, stando alla definizione della Treccani, indica un termine usato in biologia per indicare un animale che si nutre di alimenti di origine sia animale sia vegetale. Stando a questa definizione sembra che il termine abbia un’accezione positiva in termini di sopravvivenza, potendo un onnivoro cibarsi sia di carne che di verdure. Partendo da questo ragionamento lo studioso Paul Rozin introdusse nel 1976, il dilemma dell’onnivoro: potendo mangiare tutto, cosa mangiamo? La scelta è un fattore essenziale, entrando in un supermercato possiamo comprare cibi provenienti da ogni parte del mondo, senza badare al ciclo di produzione legato alle stagioni.


 

Uno degli aspetti più caratteristici del dilemma è capire cosa mangiare senza avere conseguenze, quindi cosa non ci fa male? Per saperlo un essere umano dovrebbe provare il cibo a suo rischio e pericolo, tuttavia il tramandarsi di culture alimentari evita di sperimentare in prima persona ma permette di fidarsi delle esperienze altrui.

L'onnivoro è benedetto dalla natura perché può mangiare una gran varietà di specie. Ma la sua maledizione si manifesta al momento di decidere quali di queste specie non gli facciano male, perché in quel frangente si ritrova praticamente solo di fronte al suo destino.

Partendo da questi concetti Michael Pollan inizia la sua indagine nel mondo del cibo, della cultura culinaria e produttiva americana. Com’è possibile che in questa società così attenta al benessere e alle diete ci sia un numero altissimo di casi di obesità?

Pollan costruisce il libro secondo tre casi studio per analizzare in ordine: la filiera alimentare industriale, quella biologica a chilometro zero e infine la caccia.

Nell’analisi della catena industriale Pollan descrive l’importanza della Zea mais, la pianta erbacea di origine tropicale comunemente nota come mais. Questa pianta è la chiave di volta della dieta di un americano medio, presente nella maggioranza degli alimenti, dalle bevande zuccherate, alla carne e le uova (grazie all’alimentazione degli animali).

Termini come amido modificato, sciroppo di glucosio, maltodestrine, fruttosio cristallizzato, acido ascorbico, lecitina, destrosio, acido lattico, lisina, maltosio, HFCS, MSG, oli di semi vari, caramello, gomma xantana, ecc. si traducono in un solo modo: mais

Pollan descrive un mondo pieno di contraddizioni: ci sono le storture di mercato in cui i contadini producono in perdita incentivati dallo Stato, quelle produttive con il bestiame forzato al mais invece che al foraggio e i campi costretti alla monocultura senza la rigenerazione del maggese. L’agricoltura americana sembra un grande campo produttivo in cui l’unico scopo è produrre più mais possibile.

Da un punto di vista biologico, coltivare è sempre stato un processo di conversione della luce solare in una fonte alimentare; oggi è diventato in misura significativa un processo di trasformazione dei combustibili fossili in cibo. Il vecchio metodo, con il sole come fonte di energia, era una specie di cena gratis offerta dalla natura: ma il servizio era lento e le porzioni piccole. Nell'era industriale il tempo è denaro e la produttività è tutto

La seconda parte del libro è dedicata alla catena biologica. Bisogna far chiarezza sull’uso americano di questo termine, così diverso dall’accezione usata in Italia con realtà come Slow Food. In America a seguito di grandi battaglie politiche, incentivate soprattutto dalle lobby, il termine biologico è diventato più un termine di marketing, utile per aumentare il fatturato piuttosto che per avere un cibo di maggior qualità. Anche in questa seconda analisi Pollan ricostruisce la filiera secondo vari punti di vista. Il focus del caso studio è dedicato ad una fattoria biologica nel senso più estremo del termine, in cui il chilometro zero è garantito. Il giornalista diventa contadino per una settimana e prova sulla pelle i costi e le fatiche di una produzione “artigianale” del cibo.

Il terzo caso studio è dedicato alla caccia e alla raccolta di funghi. In questa analisi finale il giornalista spiega la sua esperienza personale in mezzo ai boschi, imparando da neofita le pratiche di cacciatore e raccoglitore.

Il libro offre numerosi spunti di riflessione: una volta che si viene a conoscenza della filiera alimentare produttiva è più difficile chiudere gli occhi e continuare come nulla fosse a mangiare senza porsi domande sulla provenienza del cibo. C’è da sottolineare che le analisi del libro riguardano la cultura americana, tuttavia possono tornare utili anche ad un italiano, per capire come e cosa si mangia. Pollan ha affrontato il mondo alimentare anche in altri saggi, sempre editi da Adelphi, per cui chi volesse approfondire sa già dove cercare.

Oltre all’interesse verso la produzione del cibo c’è anche la passione nel consumarlo: nella parte finale Pollan prepara un pranzo per degli amici e rende evidente dal suo amore per il cibo il detto “si cucina sempre pensando a qualcuno, altrimenti stai solo preparando da mangiare”.

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