Maniac

È tornato Labatut, con il suo stile inconfondibile di page turner già consolidato in “Quando abbiamo smesso di capire il mondo”. Se nel precedente lavoro si poteva riscontrare un’aneddotica generale di vari scienziati portati quasi alla follia dagli effetti delle proprie invenzioni, in questo caso il file rouge è più netto: i prodromi dell’intelligenza artificiale.


 

Prima di arrivare al livello di fama attuale, in cui parlare di IA è piuttosto comune tra app di fotoritocco e risoluzione di semplici problemi lavorativi, i primordi di questa tecnologia sono lontani nel tempo e Labatut li rintraccia legandoli nella sua trama. Lo stile è particolare, non è prettamente un romanzo, diciamo che l’autore si è creato uno stile proprio in cui ricostruisce, a partire da eventi reali, una trama narrativa fittizia per catturare il lettore.

Quasi a volersi ricollegare al lavoro precedente l’inizio è collegato alle vicende di Paul Ehrenfest, che ad inizio ‘900 si sente sempre più distaccato dalle nuove scoperte della fisica, che da uno stretto collegamento con la realtà fattuale sta diventando sempre più una scienza filosofica per le implicazioni delle sue teorie. Questo sentimento sfocia in una tragica depressione, quasi a voler profetizzare l’esito che scaturirà da quelle scoperte così innovative.

Chi non si lascia spaventare dal nuovo mondo, complesso e allo stesso tempo affascinante, della fisica del ‘900 è John von Neumann. La vita del grande scienziato ci viene descritta da vari punti di vista, dai collaboratori scientifici, alle mogli, tanti personaggi che ne ritraggono un pezzo, da cui rimane fuori il pensiero del protagonista ( un po’ come la struttura centrale de “I detective selvaggi” di Bolano). Quello che ne deriva è la figura di un autentico genio, con un acume fuori dal normale, capace di brillare in campi anche molto diversi tra loro come matematica, fisica, economia e informatica.

Voi sostenete che certe cose una macchina non le può fare. Spiegatemi esattamente cosa una macchina non può fare, e io riuscirò a costruire una macchina che fa proprio quella cosa

Se le sue prodezze inventive sono note, Labatut prova a tracciarne o perlomeno a farne trapelare un lato umano. L’immagine che ne deriva è quella di un uomo ambizioso, prigioniero del suo ingegno a tal punto da non saper mostrare un lato umano. Ad esempio, la mente matematica è la stessa che ha calcolato la precisa altezza di rilascio delle bombe sul Giappone, in modo da massimizzarne l’effetto distruttivo. Colpisce il confronto con altri grandi scienziati del suo tempo, se ci ricordiamo la famosa frase di Einstein sul fatto che “Dio non gioca a dadi con l’universo” è perché, semplificando, lo scienziato non intendeva accettare in toto le conseguenze delle sue stesse teorie; dall’altra parte c’è la figura di Neumann, incapace di fermarsi sugli allori e volto sempre a nuove scoperte scientifiche. Quella su cui Labatut si concentra di più consiste nell’antenato del moderno computer, un calcolatore capace di accelerare complicati calcoli: il Mathematical Analyzer, Numerical Integrator And Computer, ovvero il MANIAC. Questo macchinario, formidabile per l’epoca, fu realizzato con l’obiettivo di sviluppare la tragica bomba H, simbolo dunque di una creatività distruttrice.

Le armi termonucleari sarebbero state quasi impossibili da realizzare se non fosse stato per il parto della mente di von Neumann. Il destino della sua macchina era legato a quelle armi fin dal suo concepimento, perché la corsa per costruire la bomba fu accelerata dal desiderio di Johnny di costruire il suo calcolatore, e alla spinta a costruire il MANIAC fu dato nuovo impulso dalla corsa alle armi nucleari. È spaventoso il modo in cui funziona la scienza. Pensateci per un secondo: la più creativa e la più distruttiva delle invenzioni umane comparvero esattamente nello stesso momento. Una grandissima parte del mondo high-tech in cui viviamo oggi, con la conquista dello spazio e gli straordinari progressi nella biologia e nella medicina, si deve alla monomania di un singolo uomo e al bisogno di sviluppare i calcolatori elettronici per appurare se una bomba H potesse o meno essere costruita.

Dall’antefatto della sua costruzione fino al suo declino, la storia di questo calcolatore fa da apripista alla terza parte del romanzo, incentrata sugli sviluppi più recenti delle intelligenze artificiali nel campo dei giochi e più in particolare del go, un gioco di origine asiatica estremamente più complesso degli scacchi dal punto di vista computazionale. La vicenda raccontata è quella dello scontro tra Lee Sedol, campione mondiale del go e AlphaGo, un programma di intelligenza artificiali basato su complesse reti neurali.

Labatut è una sorta di alchimista quantistico, interessato non tanto alla scienza di per sé, quanto agli effetti delle mirabili invenzioni che descrive sui rispettivi inventori e di conseguenza sulla società. In questo libro, viene meno uno dei principali difetti dell’opera precedente, quella descrizione dell’atto inventivo ai limiti di una magia o di un’intrinseca pazzia latente. Il focus preponderante su Neuman dona forza al corpus del libro, non scendendo in facili rappresentazioni dello scienziato, ma dando un caleidoscopio di opinioni a tutto tondo.

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