Donnarumma all’assalto

Pensate di dover fare un colloquio di lavoro, nell’unico posto realmente disponibile della vostra città. La concorrenza dei vostri paesani sarà elevata, vero? Pensate ora di essere negli anni del secondo Dopoguerra, nella cosiddetta Italia del Boom e di trovarvi davanti arzigogolati test psicoattitudinali, che vi sembrano provenire da un altro mondo. Immaginandovi tutto questo vi troverete davanti la trama di “Donnarumma all’assalto”, romanzo autobiografico di Ottiero Ottieri, scritto a partire dalla sua esperienza come reclutatore (oggi diremmo HR manager) nello stabilimento Olivetti di Pozzuoli e pubblicato nel 1959.


 

Il libro racconta l’esperienza di un addetto alle assunzioni di una grande azienda del nord che si trova trasportato nel fittizio paese di Santa Maria con il compito di sostenere i colloqui per gli operai della nuova sede. Il suo incarico sembra abbastanza semplice, applicare la scienza moderna degli esami psicotecnici per determinare in maniera scientifica il carattere e le competenze delle persone intervistate e decidere se il ruolo è adatto a loro. Ben presto l’ottica di industrializzazione esterna fa emergere la contraddizione di un paese arretrato, incapace di adattarsi alla mentalità che si cerca di impiantare con tanta solerzia da parte del protagonista.

I test risultano poco chiari, i posti di lavoro sono esigui, le persone si lamentano e cominciano ad affibbiare la responsabilità della scelta al protagonista. Lui stesso comincia a sentirsi a disagio per questo compito; la sua scelta, in un paese afflitto da povertà e scarso lavoro, si trasforma quasi in una sentenza tra chi potrà vivere e chi no. Il destino delle persone passa attraverso le sue mani e questa situazione si declina in una sensazione opprimente da parte dello psicologo, ma soprattutto in comportamenti caratteristici e sopra le righe da parte degli addetti.

Il lavoro significa dignità, possibilità di vita in mille sensi diversi: da chi ha una promessa sposa e non può sposarsi prima di un lavoro stabile a chi ha da sfamare una famiglia intera. È a circa metà romanzo che compare il personaggio che dà il titolo al libro: Donnarumma. Si tratta di una persona in cerca di un lavoro, anzi più che in cerca in attesa; infatti lui ritiene che il lavoro, in quanto fattore di dignità, gli sia dovuto, senza la necessità di tutta la trafila burocratica di carte bollate e colloqui futuristici. La sua ostinazione a non piegarsi a questa impostazione rappresenta un punto di svolta per la storia.

Che domanda e domanda. Io debbo lavorare, io voglio faticare, io non debbo fare nessuna domanda. Qui si viene per faticare, non per scrivere

Intorno alla fabbrica cresce il malcontento di chi non viene assunto, si formano i primi picchetti di manifestazione perenne composti da persone desiderose di lavorare. Tutto questo fa emergere la spaccatura tra l’etica aziendale dei colloqui del nord che si pretende oggettiva e la partecipazione umana con i personaggi che il selezionatore si trova davanti. Il romanzo è una lunga ascesa costellata da presagi sempre più tragici, dovuti alla disperazione e al desiderio di riscatto tramite il lavoro.

Il colloquio e gli esami psicotecnici alzano una rete protettiva fra noi e loro, tra la fabbrica e il paese; sono anche la nostra difesa dalla disoccupazione. Questa rende immorale la psicotecnica che potrebbe essere neutra, e invece si colora del luogo dove si svolge. Selezione scientifica e disoccupazione si negano. La selezione potrebbe anche avere valore umano, se la domanda e l’offerta di lavoro stessero in equilibrio

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