Tavolo numero sette

Pensate di dover andare ad un matrimonio di un collega di lavoro, magari perché non avete di meglio da fare. Fa caldo, non conoscete nessuno e vi aggirate spaesati tra i famigliari tutti ben assortiti. Ovviamente al momento del rinfresco vi toccherà sedervi al tavolo e cominciare a discutere forzatamente con gli altri compagni di pranzo. Tuttavia, passati i primi minuti di scambi convenevoli, vi accorgete che c’è qualcosa che non torna, l’aria è un po’ rarefatta e pregna di cattivi presagi. I vostri compagni tendono a nascondere in maniera malcelata un lieve senso di disapprovazione. Dopo le prime inquietudini, vi accorgete che l’oggetto di queste attenzioni è un vostro commensale, un signore anziano con un’espressione bonaria. 

È quello che capita a Stefano, il protagonista e voce narrante di “Tavolo numero sette”, che passeggiando tra i tavoli si accorge che l’uomo che l’affianca è il giudice Camillo Bordin, salito alle luci della ribalta per una faccenda giudiziaria, una di quelle che diventano cronaca nazionale con aggiornamenti quotidiani. Il caso in questione riguarda l’efferato omicidio (quale delitto non è efferato oggigiorno) di due donne, per cui il giudice ha stabilito l’assoluzione di Pietro Erardi, principale indagato e presunto colpevole per l’opinione pubblica italiana.

Il clamore mediatico generato dal caso ha fatto sì che tutti si formassero un’opinione sul caso, ovviamente guidati da quello che i media fornivano in pasto nei loro aggiornamenti quotidiani. Come succede spesso in questi casi, un fatto di cronaca nera diventa, per motivi di informazione, la scusa per diffondere materiale sensazionale e di sicuro fascino per l’audience di riferimento. La necessità di stupire porta ad un’escalation che punta a non risparmiare nessun dettaglio, tra il macabro e il pettegolezzo più becero.

Succede così che al tavolo tutti sanno che Erardi, dipinto dai giornali come colpevole, sia un omicida, e tutti, dopo un attimo di imbarazzo, rimproverano al giudice il fatto di averlo lasciato in libertà. Tra una portata e l’altra Bordin comincia a raccontare la sua versione dei fatti, sempre incalzato dalle accuse dei suoi commensali. La ricostruzione tramite flashback della vicenda giudiziaria, dalle indagini alle testimonianze del processo, mina le certezze degli ascoltatori, fornendo loro le spiegazione del vero iter da seguire e delle norme cui sottostare per formulare una sentenza.

Il libro fornisce indizi tra le pagine e forse i più bravi potranno arrivare al colpevole prima della soluzione o prima della fine del matrimonio in questo caso. Levani firma un buon legal thriller, capace di mantenere la tensione sempre su un livello di sufficiente attenzione, intercalando qualche divertimento per gli ospiti e di pausa per i lettori. L’autore si conferma come una voce da seguire nel panorama italiano, dopo l’ottimo Toringrad.

 

Dovrei avere solo una linea guida, che è la legge, tutto il resto lo lascio a chi ama le luci della ribalta. Questo valeva fino a qualche tempo fa. Poi tutto è precipitato, così, da un giorno all’altro, senza preavviso. Ci siamo bruciati secoli di civiltà giuridica in pochi anni. Tutti hanno iniziato a parlare di tutto, tutti hanno pensato che questo o quel signore fosse colpevole, doveva esserlo perché sembrava molto freddo quando testimoniava oppure perché nel suo computer era stato trovato un filmato porno o aveva visitato pagine web attribuite a terroristi. Il prossimo passo, se andiamo avanti così sarà la giustizia sommaria. Tutti si sentono più informati di me perché hanno letto i giornali e hanno sentito parlare di questa o quella storia, mentre io mi sono limitato a studiare migliaia di documenti e decine di testimonianze. Ma questo non conta: pensano comunque di saperne più di me.

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