L'aria che respiri

Pensate all’Italia del secondo dopoguerra, quella del boom economico e della dolce vita. Vi verranno in mente le classiche immagini degli anni della ripresa italiana e le fascinazioni dei film di Fellini e dei paparazzi. Tuttavia, in quel periodo ci furono molte altre situazioni, magari meno affascinanti, ma sicuramente più appartenenti alla realtà di tutti i giorni.

Luigi Davì, divenuto famoso con l’etichetta di scrittore-operario, descrive questi sprazzi di vita variegata e quotidiana nella raccolta di racconti “L’aria che respiri”. L’autore utilizza episodi differenti tra loro, aventi come minimo comune denominatore l’essenza di quegli anni, descritta con un linguaggio colloquiale e con l’influsso di alcuni regionalismi piemontesi.

Si hanno episodi relativi alla vita nelle fabbriche, al logorio del lavoro manuale oppure di contrapposto alla fuga dai campi per una migrazione verso la città che offre opportunità.

I racconti più esemplificativi in questo senso sono diversi. L’aspetto della campagna viene trattato in “Paesi del vino”, breve affresco di uno spensierato weekend di bevute nei campi, oppure all’opposto nel “Le pietre della frana”, in cui si sottolinea la fuga dei giovani dalla vita dei campi verso la città. Il racconto migliore è sicuramente “Uno mandato da un tale”, in cui complice l’ampio respiro, viene tratteggiata con cura la vita in fabbrica. Il protagonista è un giovane ragazzo, che si fa assumere come apprendista operaio meccanico in una piccola officina di paese. Davì usa un linguaggio tecnico fatto di frese, torni e altre lavorazioni meccaniche per far odorare la fabbrica, sinonimo di progresso ed efficienza. Con il tempo si trova di fronte le simpatie del cosiddetto padrone, i rapporti con i sindacati e soprattutto le vicende della vita di paese, tra un film al cinema, un giro al bar e una scappata nei campi con qualche ragazza.

“In tram a giornata finita è riaffacciarsi al mondo. C’è quel senso di soddisfazione dell’essersi liberati d’un debito. La giornata è il tempo che si è nel debito, poi rimangono i ritagli, a giornata finita. Uno prima di cena e un secondo, più grande, dopo cena. E le domeniche sono sempre lontane; ma poi, a raggiungerle, sono più niente, una latta vuota. Le giornate sono interminabili e le settimane brevi. Se ci si invecchia, si invecchia presto. Così, in tram a giornata finita è un po’ un ritorno dall’esilio.”

Luigi Davì fu scoperto da Calvino, che ne firma anonimamente il risvolto di copertina nella versione della collana I Coralli del 1963. Attualmente è un autore un po’ dimenticato, ripubblicato solo da Hacca Edizioni nel 2011 con l’opera prima Gymkhana-Cross.

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