La città dei vivi

Due ragazzi normali che in preda all’allucinazione della droga uccidono un ragazzo in maniera atroce. Sembra la trama di un film dell’orrore, ma la realtà si tramuta in cronaca di un delitto spietato, nel momento in cui questa storia è avvenuta realmente: l’omicidio di Luca Varani.


Nessun essere umano è all’altezza delle tragedie che lo colpiscono. Gli esseri umani sono imprecisi. Le tragedie, pezzi unici e perfetti, sembrano intagliate ogni volta dalle mani di un dio. Il sentimento del comico nasce da questa sproporzione.

Nicola Lagioia, inseguendo il solco tracciato da Capote, scrive un romanzo sulla vicenda. Lo scrittore costruisce il libro come un gioco delle tre carte, la narrazione si alterna sui tre protagonisti: i due assassini Manuel Foffo e Marco Prato e la vittima Luca Varani. Lagioia ci fa conoscere i due carnefici, le loro storie famigliari e la modalità con cui i loro destini si intrecciano. Si parte dall’inizio e si ripercorre spietatamente la vicenda in ordine cronologico, fino al tragico epilogo e anche oltre quando la vicenda giudiziaria si trasforma in avanspettacolo.

La ferocia della vicenda viene portata su carta dall’ottima scrittura di Lagioia, che si immerge nella cronaca senza mai offuscare le barbarie dall’approfondimento psicologico dei protagonisti. La storia dell’omicidio, per chi non la conoscesse o ricordasse, riguarda la tragica morte di Luca Varani, ucciso senza motivo dai suoi carnefici dopo ore di torture. Durante la lettura a causa della forza narrativa della scrittura mi sono dimenticato di quanto fosse reale la vicenda, per poi ricordamene all’improvviso, come una deflagrazione della realtà nella pagina, quando ho visto le foto reali dei personaggi.

C’erano gli omicidi, poi c’era quest’altro tipo di omicidi. La crudeltà, la violenza selvaggia, la totale gratuità di ciò che era successo. Tutto spostava la vicenda nel più oscuro dei coni d’ombra.

Mi sforzavo di capire, ma era come guardare in un pozzo dopo il calar del sole, e fu forse perché nel buio si credono di vedere le cose piú assurde, o si indovinano le piú interessanti, che arrivai a pensare che fosse la vicenda, nella sua intrinseca malvagità, a distorcere le cose, pensai che questa entità avesse una volontà propria, degli interessi propri, il male chiama il male e certe forme retoriche sono i suoi strumenti di contagio, cosí il male ci irretisce, pensai ancora, gioca a confonderci, usa schegge di realtà per convincerci di cose che non sono vere.

I personaggi intesi in chiave drammatica, non emergono da una tragedia teatrale, ma dalle viscere di Roma, quella città dei vivi, fatta da un sottobosco di protagonisti, comparse e caratteristi. Ci sono gli amici o i conoscenti dei protagonisti che espongono i loro ricordi, ci sono i protagonisti della lotteria della morte (dettaglio macabro che non voglio rivelare a chi non ha letto il libro, ma che scuote terribilmente il lettore), e in definitiva ci sono le storie dei romani. Già dall’incipit grottesco e surreale, ma tremendamente vero, si capisce che Lagioia scrive senza filtri: ci sono le buche, gli animali in mezzo alla strada, i fatti di cronaca nera che corrono paralleli alla vicenda del romanzo e delineano un chiaro giudizio sulla città.

Durante la lettura, viene da chiedersi come mai lo scrittore si danni dietro la vicenda, reperendo gli atti giudiziari e rincorrendo i vari testimoni. Questa passione investigativa è indotta dal passato oscuro di Lagioia che lo condanna a non placarsi e affrontare con il cuore aperto la vicenda, per risolvere le sue personali contraddizioni. Da questo aspetto ne emerge un narratore coinvolto, anche se non siamo ai livelli di Carrère, che interviene in prima persona ma è anche capace di nascondersi tra le righe.

Sapevo cosa significava mettere mezzo passo nel cono d’ombra, sapevo che bisognava tirarsi indietro il prima possibile. Ma poi? Cosa succedeva a chi non si fermava, o non riusciva a farlo? Ecco, questo non lo sapevo per niente. Cosa ne era di chi, immerso nell’ombra, continuava a scendere i gradini? Oltre una certa soglia si apriva un mondo sconosciuto. 

In definitiva “La città dei vivi” è un romanzo che mi ha colpito, capace di scuotere il lettore e non è un fatto da poco considerata l’assuefazione ai casi di cronaca da cui siamo inondati nelle notizie.

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