Possiamo salvare il mondo prima di cena


Safran Foer è un autore americano di successo, ha scritto libri famosi come “Eccomi” e “Ogni cosa è illuminata” e in questo suo nuovo saggio decide di discutere del cambiamento climatico.


Lo scrittore costruisce un impianto narrativo solido per appassionare il lettore all’argomento. Inizia partendo da lontano, ci parla della fuga della nonna ebrea dalla Polonia, della Seconda guerra mondiale, degli sforzi bellici. Ma tutto questo cosa c’entra con il cambiamento climatico?

Ogni storia per essere avvincente ha bisogno di un opportuno metodo per essere raccontata, un concetto esprimibile con il termine, più che abusato, di storytelling. Safran Foer in questo saggio costruisce un robusto storytelling per cercare di trasmettere il suo messaggio: siamo spacciati!

La tesi del libro, riassunta in poche parole, sostiene che il mondo è alla deriva per via del cambiamento climatico, di cui si cominciano già a sentire i disastrosi prodromi. Le cause di questo fenomeno sono molteplici, dalle sorgenti di energia non rinnovabili, agli inquinanti fossili, etc. Tuttavia l’unico modo concreto per cercare di avere qualche chance non è passare alla mobilità elettrica, alle fonti rinnovabili o altro. Queste sono tutte soluzioni giuste, ma il cambiamento di questi processi così radicati necessita di tempo e influisce poco nel computo complessivo. Siccome il cambiamento climatico è un problema urgente, l’unica soluzione è limitare il consumo di cibi provenienti da animali, in quanto gli allevamenti intensivi sono una delle maggiori cause del cambiamento climatico.

L’unica soluzione nel breve termine, che ognuno può fare, secondo l’autore, è il cambiamento delle abitudini alimentari così radicate (bisogna considerare soprattutto che il libro è scritto da un americano che si rivolge a consumatori americani principalmente).

Questo libro parla dell’impatto dell’allevamento sull’ambiente. Eppure sono riuscito a nasconderlo per le 75 pagine precedenti. Mi sono tenuto alla larga da questo tema per gli stessi motivi per cui l’hanno fatto Gore e tanti altri: la paura che sia una battaglia persa in partenza. Sono stato evasivo anche mentre criticavo Gore per la sua evasività – non ho mai citato quello che lui non cita mai. Avevo la certezza – come doveva averla Gore – che fosse la strategia giusta. Quando si parla di carne, latticini e uova la gente si mette sulla difensiva. Si infastidisce. A parte i vegani, nessuno muore dalla voglia di affrontare l’argomento, e il fatto che i vegani ne abbiano voglia costituisce un ulteriore disincentivo. Ma non abbiamo nessuna speranza di contrastare i cambiamenti climatici se non possiamo parlare seriamente delle cause che li provocano, oltre che delle nostre potenzialità, e dei nostri limiti, nel compiere i necessari cambiamenti. Qualche volta su un pugno deve esserci scritta sopra la parola «pugno». Per cui adesso dirò le cose come stanno: non possiamo salvare il pianeta se non riduciamo in modo significativo il nostro consumo di prodotti di origine animale.

La tesi di questo libro è che serve un’azione collettiva per cambiare il nostro modo di mangiare – nello specifico, niente prodotti di origine animale prima di cena. È una tesi difficile da sostenere, sia perché riguarda un tema controverso sia per il «sacrificio» che comporta. Quasi tutti amano il profumo e il gusto della carne, dei latticini e delle uova. Quasi tutti apprezzano la funzione che i prodotti animali svolgono nelle loro vite e non sono pronti ad assumere nuove identità alimentari. Quasi tutti mangiano prodotti animali a quasi tutti i pasti da quando erano bambini, ed è difficile cambiare le abitudini consolidate, anche quando non coinvolgono il piacere e l’identità. Si tratta di sfide importanti, che meritano di essere prese sul serio, anzi devono assolutamente essere prese sul serio. Cambiare il nostro modo di mangiare è semplice rispetto alla conversione della rete energetica mondiale o all’introduzione di una carbon tax nonostante il parere contrario di lobby molto influenti o alla ratifica di un importante trattato internazionale sulle emissioni di gas serra – ma non è semplice.

La tesi del libro è quindi riassumibile in poche parole, ma Safran Foer, come già detto prima, si sforza di creare una storia, che serva non soltanto a comunicare un messaggio, ma ad interrogarsi a riguardo. I dati scientifici sono raggruppati per la maggior parte in un solo capitolo, lì c’è quello che si può trovare anche altrove, i fatti più o meno forniti dalla comunità scientifica. Ma in tutti gli altri capitoli c’è lo scrittore, le sue scelte, la sua famiglia, la sua vita; Safran Foer si mette in gioco, cercando di farci porre delle domande, sul futuro del nostro pianeta e delle prossime generazioni.

Il saggio può essere considerato un interessante punto di inizio per chi vuole approfondire il tema del cambiamento climatico. Per quanto riguarda il focus sull’impronta ecologica e di carbonio dei metodi di allevamento consiglio di leggere l’altro saggio di Safran Foer “Se niente importa” oppure i saggi dedicati al cibo di Michael Pollan.


 

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