Il tamburo di latta

 

“Il tamburo di latta” è il capolavoro di Gunter Grass, autore premiato con il premio Nobel per la letteratura. Il libro è un’articolata metafora satirica e grottesca della Germania a cavallo della Seconda guerra mondiale. Per avere un punto di vista privilegiato lo scrittore sceglie come protagonista un giovane ragazzo nano, che può osservare tutti da un punto di vista differente rispetto alla massa.


 

È la storia di Oskar, un giovane bambino di tre anni che, per atto di protesta verso il mondo degli adulti e di rifiuto verso la società che lo circonda, decide di smettere di crescere. Il suo segno distintivo è il tamburo di latta, con cui passa il tempo battendo il ritmo. Nonostante la giovane età e il rifiuto della scuola, Oskar è un bambino sveglio, capace di esprimere giudizi spietati verso le persone adulte. Il suo solo mezzo di comunicazione è il tamburo, con cui scandisce ogni avvenimento e quando gli viene tolto mette in funzione la sua super voce spacca-vetri.

Oskar non è un personaggio simpatico, un eroe da ammirare come protagonista del romanzo. Al contrario è un bambino irritante e bugiardo, caparbiamente legato al suo tamburo e mistificatore.

Nel suo racconto ci sono gli elementi della storia tedesca, talvolta mostrati palesemente in altri casi in chiave figurata. Per esempio, il protagonismo viene insegnato ad Oskar dal suo maestro Bibra, un nano da circo, che lo spinge ad essere protagonista della tribuna della vita. Questo può essere un esempio grottesco che contrappone sul palco un bambino nano al superuomo nazista di quei tempi. La sua deformità è metafora delle aberrazioni della storia tedesca, il suo urlo e la sua altezza infrangono il degrado dei luoghi comuni.

Noialtri non dobbiamo mai far parte degli spettatori. Noialtri dobbiamo stare sul palcoscenico, nell'arena. Noialtri dobbiamo farla vedere a tutti e dirigere il gioco, altrimenti saremo noialtri a esser giocati da quelli là. E quelli là ci provano troppo gusto a giocare sporco con noi!" Quasi infilandomisi nell'orecchio ha mormorato, mentre faceva occhi antichissimi: "Stanno arrivando! Occuperanno ogni luogo di festa! Organizzeranno fiaccolate! Costruiranno tribune, popoleranno tribune, e dall'alto di quelle tribune predicheranno la nostra rovina. Stia in guardia, giovane amico, da ciò che si farà sulle tribune! Cerchi di sedere sempre in tribuna, giammai di stare in piedi davanti alla tribuna!"

L’evoluzione del protagonista è limitata nonostante il tempo, si può trovare il senso di colpa, il sentimento di rivalsa verso i due padri, cause della sua natura. Nonostante tutti i guai e le morti che combina, Oskar non sente un vero risentimento, pensa quasi principalmente al suo tamburo. Il mancato rimorso per gran parte del romanzo, con una specie di risveglio finale simboleggia il pensiero di vari tedeschi, che nel dopoguerra vennero a conoscenza delle proprie responsabilità, ma solo poco alla volta riuscirono a percepirne il peso.

Il libro è una seduta di riflessione per la Germania post nazista, in cui come ad esorcizzare i mali provocati, si usa una struttura deforme per affrontare le proprie responsabilità, assecondando un punto di vista esterno. Episodi in questo senso sono il lavoro di Oskar come modello deforme, scelto per rappresentare la follia del suo tempo, oppure la Trattoria delle cipolle, dove le lacrime del sollievo vengono create in maniera artificiale.

Oltre al valore storico e narrativo della penna da Nobel, la scrittura è caratterizzata dal continuo passaggio dalla prima alla terza persona, in cui Oskar si trova a parlare di sé stesso quasi di un essere a parte, conscio della sua diversità.

Ci si può atteggiare a scrittore moderno, eliminare il tempo e la distanza, e proclamare o poi far proclamare di avere finalmente risolto il problema spazio-tempo. Si può anche affermare, fin dall’inizio, che al giorno d’oggi è impossibile scrivere, ma poi, per così dire, scriverlo in barba a se stessi, deporne uno bello grosso e finire con l’essere considerato l’ultimo romanziere possibile. Ho anche sentito dire che si fa un’ottima impressione di modestia iniziando col sostenere fermamente che non ci sono più eroi da romanzo, perché gli individualisti, non esistono più, perché l’individualità va scomparendo, perché l’uomo è solo, ogni uomo è ugualmente solo, senza diritto a una solitudine individuale e fa parte di una massa solitaria senza nomi e senza eroi

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