Il soccombente

Ascolto consigliato: Glenn Gould – “Le Variazioni Goldberg”

 “Il soccombente” di Thomas Bernhard non è un libro semplice, uno di quelli da autogrill che si legge bene e in fretta. È un romanzo complicato, con una scrittura tortuosa ed una trama sul male di vivere.



L’intreccio della storia è in realtà molto breve: ci sono tre pianisti, il protagonista senza nome, Wertheimer e il grande Glenn Gould, che da personaggio reale diventa un protagonista fittizio nella vicenda narrativa.

Questi tre giovani si ritrovano a Salisburgo a studiare al conservatorio dal famoso Horowitz. Tuttavia mentre due sono buoni studenti, Glenn Gould è un genio, qualcuno in grado di stravolgere l’arte di suonare il piano.

Il confronto impietoso tra i tre studenti genera sconforto nel protagonista e in Wertheimer. I tre procedono la carriera, ma mentre il primo diventa un virtuoso famoso nel mondo, gli altri due, avendo visto la grandezza e l’arte di un vero virtuoso, dopo un po’ si ritirano umiliati e consapevoli che il lavoro del pianista non fa per loro.

Passa il tempo ma la vecchia situazione da studenti ha cambiato loro la vita. Il protagonista si trova ormai vecchio a dover tirare i giudizi della sua vita e si trova a giudicare la morte dei suoi due vecchi amici. Mentre lui si è ritirato, accettando l’abbandono al pianoforte, e vive tentando di scrivere un romanzo, l’amico Wertheimer non ha mai superato il trauma della comprensione delle sue vere capacità, una catastrofe che l’ha segnato, spingendolo anni dopo al suicidio.

Glenn Gould era un virtuoso nato sotto ogni aspetto, Wertheimer fin dall’inizio un fallito che non poteva ammettere il proprio fallimento e per tutta la vita non è riuscito a farsene una ragione, pur essendo Wertheimer uno dei nostri migliori interpreti in assoluto, lo dico senza alcuna riserva, egli era ciò nonostante il tipico fallito, un uomo che al primissimo confronto con la realtà, nel suo caso con Glenn, fallì, ed era inevitabile che fallisse. Glenn era il genio, Wertheimer nient’altro che l’ambizione, pensai.

Il protagonista ripercorre indietro nel tempo la vita di Wertheimer, intrecciandola con i racconti privati e gli aneddoti del conservatorio.

Il libro è una discesa nel male di vivere di Wertheimer, soprannominato da Gould come il soccombente, per via del distacco e dell’avversione alla vita. L’invidia e l’ammirazione si fondono in lui, così segnato dall’incontro con il genio Gould, un uomo capace di dedicarsi completamente alla sua arte, rinnovandola e portandola a nuovi scenari. Nel soccombente prevalgono l’invidia e l’inettitudine alle qualità artistiche, un destino che sembra a priori negativo dopo aver incontrato il genio, non rimane che essere un comprimario, un qualcosa di inaccettabile per lui, o il meglio o niente.

Ciò che lo affascinava erano gli esseri umani nella loro infelicità, non lo attraevano le persone in sé, ma la loro infelicità, e l’infelicità la coglieva dovunque ci fossero delle persone, pensai, era avido di persone perché avido di infelicità.  L’uomo è l’infelicità, diceva di continuo, pensai, solo gli imbecilli affermano il contrario. Essere partoriti è un’infelicità, diceva, e fintanto che viviamo ci portiamo appresso questa infelicità, che soltanto la morte può spezzare. Ma ciò non significa che noi siamo solo infelici, la nostra infelicità è la premessa per poter essere anche felici, solo passando attraverso l’infelicità possiamo essere felici, così diceva, pensai.

Se la trama è relativamente semplice, la scrittura è terribilmente complicata. Si tratta di un lungo monologo del protagonista, in cui come un vortice si scende ossessivamente a scavare nei ricordi dei tre amici. Le ripetizioni sono innumerevoli e segnano quasi il tempo nella lettura a voce alta, dando una sonorità disturbata e cacofonica alla vicenda narrata. Questo è il primo libro che leggo di Bernhard e di conseguenza, non conoscendo lo stile, ho cercato di comprendere questa scelta.

Le innumerevoli ripetizioni possono simboleggiare le angosce del soccombente, creando un ostracismo verso una possibilità di vicinanza al narratore. Magari sono uno strumento per imitare la struttura sonora della Variazioni Goldberg, così spesso citate nel libro.

Nel libro non ci sono dialoghi, non ci sono cenni musicali, non c’è biografia di Glenn Gould, ci sono solo interrogativi, sviscerati con ossessiva ripetizione da Bernhard. Come si sopravvive all’incontro con il genio, come si può procedere? Come ci si misura con la perfezione? Si può continuare a suonare dopo aver visto l’eccellenza e consapevoli di non poter raggiungere tali picchi di bravura?

L’errore più grande che possiamo fare è credere che le cosiddette persone semplici siano in grado di salvarci. Ci rivolgiamo a loro in uno stato di angoscia estrema, li imploriamo letteralmente di salvarci, e quelli invece ci spingono ancora più a fondo nella disperazione. E come potrebbero, pensai, salvare un individuo stravagante dalla sua stravaganza.

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