“Viaggio al termine della notte” è il capolavoro di Céline datato
1932. Non avrebbe bisogno di presentazioni, ma per chi non è convinto provo a
spiegare il termine capolavoro per quanto mi riguarda. Premetto che lo
considero tale perché leggere questo libro è come ricevere un pugno in faccia, dopo sei
obbligato a farci i conti. Molto spesso si è parlato del Voyage (dal titolo
francese del libro) come un manifesto del ‘900, sebbene sia precedente alla
Seconda guerra mondiale, al consumismo etc. Come fa a rappresentare il secolo
se è stato scritto prima di molti eventi? Semplice, perché Céline mostra delle
intuizioni di quello che verrà.
Il libro è una sorta di lungo racconto autobiografico (seppure
camuffato) della vita dell’autore. Il protagonista, alter-ego dello scrittore,
si chiama Ferdinand Bardamu ed è un giovane ragazzo francese.
Nel romanzo sono descritte le avventure della vita di Ferdinand: si
trova prima a combattere nella Prima guerra mondiale poi si sposta nell’Africa
coloniale, passa in America per poi ritornare in Francia.
Ogni viaggio priva il protagonista di parte della sua forza vitale, si
trova sempre più disilluso e nichilista a vivere l’avventura successiva.
Dovunque va incontra situazioni angoscianti e deprimenti come ad esempio la
desolazione umana della guerra o lo schiavismo forzato in Africa.
Coraggio, Ferdinand, ripetevo a me stesso, per tenermi su, a forza
di essere sbattuto fuori dappertutto, finirai di sicuro per trovarlo il trucco
che gli fa tanta paura a tutti, a tutti gli stronzi che ci sono in giro, deve
stare in fondo alla notte. È per questo che non ci vanno loro in fondo alla
notte!
Il viaggio che compie e che dà il titolo al libro, non è riferito
tanto agli spostamenti geografici ma alla discesa nella sua anima, la notte è
quindi l’oscurità dei sentimenti umani che affronta.
Sin dai momenti in guerra non riesce ad adeguarsi allo spirito
patriottico, a combattere contro persone che non trova colpevoli e, dopo aver
visto la morte in faccia, si rifiuta di proseguire.
Insomma, fin che sei in guerra, si dice che sarà meglio in pace e
ti ciucci quella speranza come se fosse una caramella e poi invece non è che
merda. Non si osa dirlo prima per non disgustare nessuno. Si è gentili tutto
sommato. E poi un bel giorno si finisce comunque per cantarla chiara davanti a
tutti. Ne hai abbastanza di rigirarti nella merda fin qui. Ma tutti trovano di
colpo che sei proprio un maleducato. E basta
Nonostante riesca a fuggire dalla guerra Ferdinand capisce ben presto
che l’esistenza non è benevola e in ogni avventura deve riuscire ad adeguarsi
alle situazioni, ricominciando ogni volta da capo, impostando una “maschera”
che lo protegga attraverso menzogne e mezze verità.
Non si può spiegare nulla. Il mondo sa solo ucciderti come un
dormiente quando si gira, il mondo, su di te, come un dormiente uccide le sue
pulci. Ecco quel che sarebbe di sicuro un morire da stupidi, mi dissi io, come
tutti cioè. Fidarsi degli uomini è già farsi uccidere un po’.
Si trattava in più d’un cambiamento d’abitudini, bisognava che
imparassi ancora una volta a riconoscere nuovi volti in un nuovo ambiente,
altri modi di parlare e di mentire. L’indolenza è quasi forte come la vita. La
banalità della nuova farsa che bisogna recitare vi annienta e vi occorre tutto
sommato ancora più vigliaccheria che coraggio per ricominciare. È questo
l’esilio, l’estraneo, questa inesorabile osservazione dell’esistenza com’è
davvero durante quelle poche ore lucide, eccezionali nella trama del tempo
umano, in cui le abitudini del paese precedente vi abbandonano, senza che le
altre, le nuove, vi abbiano ancora rincoglionito a sufficienza
Il peregrinare continuo di Ferdinand è dettato dalla sua continua
insoddisfazione, non si trova mai a suo agio in nessuna situazione e d’altronde
vive solamente situazioni paradossali. Nell’Africa coloniale incontra
schiavisti trattati come dei, fino a divenire egli stesso schiavo e giungere in
America, dove gli schiavi sono chiamati operai e buttano l’anima nelle catene
di montaggio.
Il passaggio tra i due mondi, quello vecchio e quello nuovo,
simboleggia la permanenza della condizione di sofferenza umana. Con grande
sagacia Céline descrive i malesseri della linea di montaggio, creando una
suggestione che sarà resa famosa dal film “Tempi moderni” di Chaplin del 1936.
Comunque si resiste, si fa fatica a disgustarsi della sostanza di
cui sei fatto, vorresti proprio fermare tutto quanto per pensarci su e sentire
dentro il cuore che batte con facilità, ma non si può più. Non può più finire.
È una catastrofe quella sterminata scatola d’acciaio e noi ci giriamo dentro
con le macchine e con la terra. Tutti insieme! E le mille rotelle e le presse
che non cadono mai allo stesso tempo con dei rumori che si schiacciano gli uni
contro gli altri, certi così violenti da scatenare intorno come delle specie di
silenzi che ti fanno un po’ di bene
Deluso dall’esperienza americana rientra in Francia per diventare
dottore. Il contatto con i poveri malati rinforza in lui il distacco da quel
senso di sofferenza, che non riesce a superare.
La notte è abitata da tutto un sottosuolo di persone e di sentimenti
che Ferdinand affronta, cercando sempre di scappare, di fuggire più in là senza
capire che non ci sono soluzioni e si cade inesorabilmente sempre più
nell’oscurità.
Hai con te quasi soltanto le cose utili per la vita di
tutti i giorni, la vita confortevole, la vita per sé sola, la cattiveria. Hai
perduto la fiducia per strada. L’hai cacciata, l’hai tormentata la pietà che ti
restava, accuratamente in fondo al corpo come una brutta pillola. L’hai spinta
la pietà fino in fondo all’intestino con la merda. È lì il suo posto, uno si
dice.
Tutto quello che è interessante accade nell’ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini.
Le delusioni continue del protagonista sono legate anche alle persone
che incontra. Da un lato non riesce ad avere una relazione sana con nessuna
donna, prima ci sono le infermiere e poi le prostitute che lo tradiscono. Anche
quando trova un’ipotetica anima gemella che lo accetta, lui non riesce a stare
fermo e scappa alla rincorsa di qualche altra inevitabile delusione.
Ciascuno di noi ha delle buone ragioni per evadere dalle sue
miserie private e ognuno per riuscirci prende a prestito dalle circostanze
qualche scappatoia ingegnosa. Felici quelli che il bordello gli basta!
“Viaggio al termine della notte” non è di sicuro un libro semplice da
leggere, va affrontato con la giusta mentalità per non farsi trascinare nella
sua cupa disperazione. Tuttavia è uno di quei grandi libri che va letto per
capire cosa può raggiungere la letteratura e cosa può donare al lettore. È una
lettura pessimistica, che sprofonda il protagonista e il lettore in un viaggio
in un nichilismo estremo, in cui brillano tratti sarcastici, quasi a ridere in
faccia alla bruttezza incontrata.
Le grandi intuizioni del libro che ne fanno un caposaldo del ‘900 si
offrono al lettore: Céline affronta la solitudine e l’alienazione umana nelle
grandi città e la sofferenza del lavoro.
Il libro ha avuto un clamoroso successo negli anni, sia per
l’innovazione linguistica con cui è scritto sia per i contenuti che offre. Lo
stesso Céline è stato d’altronde un personaggio sui generis, desideroso di
mostrare sempre l’eccesso, si mostrò su posizioni apertamente antisemite che
fecero sprofondare il suo nome nell’ombra. Cercando di distogliere lo scrittore
dall’opera, scritta precedentemente, rimane che concentrarsi sul libro e
interrogarsi su quanto sia importante ancora oggi.
D’altronde l’eco dell’importanza di Céline si ritrova senza dubbi in
molti altri scrittori successivi, come ad esempio Bukowski, che alla domanda
sul perché apprezzasse lo scrittore francese rispose: “Perché si è tolto fuori
le viscere e ci ha riso sopra. Un uomo molto coraggioso. Il coraggio è
importante perché è una questione di stile. L'unica cosa che ci è rimasta.”
La grande sconfitta, in tutto, è dimenticare, e soprattutto quel
che ti ha fatto crepare, e crepare senza capire mai fino a qual punto gli
uomini sono carogne. Quando saremo sull’orlo del precipizio dovremo mica fare i
furbi noialtri, ma non bisognerà nemmeno dimenticare, bisognerà raccontare
tutto senza cambiare una parola, di quel che si è visto di più schifoso negli
uomini e poi tirar le cuoia e poi sprofondare. Come lavoro, ce n’è per una vita
intera
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