Ascolto consigliato: “Bomba o non bomba” - Antonello Venditti
Marta è una ragazza normale, lavora nel mondo dei libri, fa la
pendolare tra Torino e Milano, quando all’improvviso suo padre Leonardo muore.
La relazione con il padre è sempre stata frastagliata, fatta di avvicinamenti e
continui allontanamenti, anche a causa della separazione dei genitori.
Marta, tornata a casa per passare del tempo con la madre, scopre dei
vecchi documenti giudiziari riguardanti il padre. I documenti le rivelano che
Leonardo è stato in carcere a seguito di accuse di fiancheggiamento al
terrorismo negli anni ’70. La notizia la colpisce come un fulmine a ciel
sereno; sapeva dell’arresto, avvenuto tanti anni prima della sua nascita, ma
l’episodio le era stato raccontato come un’ingiustizia dal padre e
assolutamente mai in quei termini.
Incuriosita dalle carte processuali, prova a chiedere alla madre, a
ricordarsi alcuni ricordi d’infanzia, ma capisce che il padre le ha sempre
riservato uno spazio contingentato nella sua vita, vissuta secondo
compartimenti stagni.
Divide la sua vita in compartimenti stagni. Non aveva altre spiegazioni. E in realtà non
c’erano mai spiegazioni, né uno scopo vero e proprio, per le omissioni di mio
padre, per la sua propensione a disintegrare il passato. Passava da un luogo
all’altro della vita così, nascondendosi da quelli a cui era stato legato prima
e offrendosi a piene mani, avvolto da uno splendore fittizio, a quelli che
venivano dopo
I ricordi della relazione con il padre, misti al sentimento di lutto,
coinvolgono Marta a scoprire qualcosa di più su quella vicenda, apparentemente
così distante dalla figura di uomo normale e ordinario.
Decisa a portare avanti la sua ricerca, Marta comincia la sua indagine
sul passato di un uomo che scopre sconosciuto, tante sono le mancanze nelle
testimonianze. Leonardo, suo padre, diventa, L.B., il protagonista della sua
storia, un protagonista anonimo, visto la penuria di legami che lo collegano
all’immagine che ne ha la figlia.
Avrei voluto che questa storia me la raccontasse lui. Avrei voluto
avere il tempo di sentirla. Ma in un certo senso sono consapevole che il libro
esiste perché non c’è più l’uomo
“Città sommersa” è il viaggio di una figlia alla ricerca del padre
defunto. Non avendo una storia da ricordare e da tramandare, la ragazza
comincia la sua indagine per scoprire la vera storia del padre. Tra faldoni
giudiziari e incontri con protagonisti dell’epoca la sua ricerca la porta a
scoprire Leonardo, un giovane ragazzo che negli anni ’70 emigra al nord, per
lavorare nella Fabbrica a Torino. Le difficoltà degli immigrati di quegli anni
provocano come risvolto un grande sentimento identitario e di comunità, che
porta Leonardo ad affacciarsi nella vita politica e in un partito di estrema
sinistra. I comizi e le occupazioni occupano pienamente la vita del ragazzo,
che con il tempo arriva, suo malgrado, anche ad avvicinarsi pericolosamente
alle frange armate delle rivolte e al terrorismo.
“Città sommersa” è un libro che porta in superficie i ricordi, non
solo del protagonista, ma di tutta una città, Torino. La città è una
protagonista sullo sfondo di tutta la vicenda tramite la narrazione degli
omicidi armati, delle proteste per le vie del centro, delle sommosse della
polizia contro i manifestanti e degli scioperi nelle fabbriche.
Nelle strade di Torino-il-Terrore. Come se fosse
diventato il nome stesso della città, la livida essenza delle sue facciate
giallo pallido coperte dalla fuliggine, dei suoi cortili a ringhiera, delle
malinconiche stradine di acciottolato che la notte brillavano a chiazze alla
luce dei pochi lampioni, del fiume lento, dei palazzoni di periferia, delle
statue remote e dei grandi giardini, come se un’acqua di morte si fosse
infiltrata attraverso tutto questo e l’avesse permeato fino ad alterarne
irrimediabilmente la natura
Un passato poco conosciuto ai giovani, forse perché sepolto per
dimenticare, viene con forza a galla tramite una narrazione corale, facendo emergere
tutte le contraddizioni del protagonista, della città e del periodo storico in
cui ha vissuto.
Il racconto autobiografico, delicato e toccante, della vicenda
famigliare della scrittrice si incastra in uno stile che tende quasi al
reportage giornalistico/storico, mostrando un’ottima capacità di coinvolgimento
per un’esordiente.
Io credo che se esiste un nostro archivio familiare
sia questo: volatile, fatuo, immateriale, di cui è impossibile restituire
l’essenza irripetibile, la vita, senza che le parole manchino il segno – com’è
povera la lingua della gioia
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