Immaginate di essere uno storico, di
partire da alcuni dati, verificarli in base alle fonti disponili e ipotizzare
una verità, una storia. Magari quello che otterrete sarà credibile, magari
verosimile, vicina alla realtà, ma non avrete mai la certezza assoluta di tutti
i dettagli.
La storia è quella certezza che prende consistenza là
dove le imperfezioni della memoria incontrano le inadeguatezze della
documentazione
“Il senso di una fine” è un racconto che spinge il lettore a farsi
storico, a scavare tra i fatti descritti.
Il libro è il racconto di una vita, quella di Tony, protagonista e
narratore unico.
La storia comincia durante gli anni del liceo, Tony con i suoi amici si affaccia alla vita per
scoprirla, cominciano gli affetti con le ragazze e le riflessioni sulla vita,
con un’ottica di ironica superiorità data dalla gioventù.
Con i suoi amici, Colin, Alex e Adrian, Tony si incammina verso l’età
adulta, tra una lezione e l’altra. Filosofico fino al parossismo, introverso e
con numerose uscite considerate geniali, Adrian è il suo amico più caro, anche
se di gran lunga il più enigmatico. La prima relazione seria di Tony avviene
con Veronica e dura qualche mese, sfociando a malapena nell’ambito sessuale. La
fine è beffarda, Veronica lo lascia per il suo amico Adrian.
Il liceo finisce, la vita va avanti e la compagnia di amici si
disperde ognuno per il suo corso. Tony, pochi anni dopo, scopre che Adrian è
morto suicida e rimane interdetto sulle motivazioni, forse l’amico troppo
intelligente si è tolto la vita, perché incapace di risolvere l’equazione che
aveva formulato sulla vita.
Passando gli anni e Tony vive la sua vita tranquillamente, il classico
esempio di ordinarietà. Quando ormai è vecchio, gli viene recapitata una
lettera, la vecchia madre di Veronica, una signora vista una sola volta più di
40 anni prima, gli ha lasciato il diario di Adrian, morto anni prima.
Tutta la storia rappresenta un pretesto per Tony per riflettere sulla
sua vita, sui suoi errori nelle relazioni che ha avuto, specialmente quella con
cui è partito tutto, Veronica. Cerca di riavvicinarsi alla sua ex ragazza di
tanti anni prima senza successo, scontrandosi con continue ritrosie e accuse
“di non capire”.
Tutta la storia è una lunga riflessione sulla vita e sulla morte, che
cos’è la vita se non quello che si ricorda e quello di cui volontariamente o
meno ci si sforza di dimenticare. Il lettore è accompagnato in questa
riflessione tramite i ricordi di Tony, che si rivela essere un narratore
insicuro, una fonte non attendibile e da verificare.
Barnes avvisa il lettore già dall’incipit con “quel che si finisce per ricordare non sempre
corrisponde a ciò di cui siamo stati testimoni”. Alla fine, una volta venuti a conoscenza dei fatti, ognugno è libero di credere alla propria versione, la trama è un mero pretesto per far riflettere sul significato della memoria.
Dal punto di vista della trama, la ricerca di una verità è declinata
quasi in salsa gialla, bisogna capire cos’è successo quaranta anni prima,
unendo tutti gli indizi sparpagliati nella narrazione. Barnes su questo
versante della trama penso giochi sporco con il lettore, credo che abbia voluto
lasciare un finale aperto a più letture che si può considerare anche banalmente
come un piatto servito senza preavviso.
Il libro risulta quindi interessante, coinvolgente per quanto riguarda
la parte della riflessione della memoria, ma lascia un po’ l’amaro in bocca per
il lato della trama, quel finale da deus ex machina, mi ha fatto venire in
mente il suggerimento di Carver per gli scrittori: niente trucchi da quattro
soldi.
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