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“Il Risolutore” è l’autobiografia di Gian
Ruggero Manzoni, erede di Alessandro e cugino di Piero. Noto come un artista di
avanguardia, dedito a scrittura e pittura ha nascosto per anni una doppia vita
da agente segreto.
La storia parte dai fatti del “marzo ’77”
di Bologna. Il giovane Conte dopo qualche anno al DAMS di Bologna, frequentato
all’epoca da Pier Vittorio Tondelli e da Andrea Pazienza, si stanca
dell’università e cerca di entrare in gruppi sovversivi. La città è preda di
gravi scontri sociali tra manifestanti e poliziotti. In questo contesto di
guerra civile, Manzoni viene arrestato e condannato dalla legge marziale
eccezionalmente in vigore. A questo punto deve decidere se andare in galera e
rovinarsi la fedina penale o accettare di seguire un addestramento militare.
Sceglierà questa seconda opzione e si rovinerà la vita.
Dopo un duro addestramento viene
dichiarato un agente dormiente al servizio dei Servizi segreti italiani. Finita la provante naia, Manzoni conduce
normalmente la sua vita, provando ogni tipo di dissolutezza in giro per
l’Europa, cercando di entrare nel giro dell’arte contemporanea e nell’editoria.
Quando ormai pensava di essersene dimenticato, ecco che torna l’incubo
militare: una missione operativa. Da quel punto la sua vita si sdoppia, in
alcuni periodi è l’artista e professore Manzoni, in altri è il risolutore,
agente operativo con licenza di uccidere.
Il libro di Giannubilo racconta la vita di
Manzoni descrivendo queste due fasi, esplicitando il vissuto dell’artista e
dell’agente, il coraggio di uccidere e la paranoia per dimenticare, gli
attacchi di paura, il morbo di Crohn, la famiglia e gli amori sfuggevoli.
Si scopre che Manzoni ha rischiato più
volte la vita in missione, ha ucciso e vissuto situazioni orribili. Si scopre
allo stesso tempo l’inadeguatezza dell’uomo mista alla voglia di continuare,
fino a che non prevale la paura, indotta dalla famiglia e dalla religione.
Manzoni è una contraddizione vivente, gonfio di aneddoti e di arte figurativa.
La sua vita è come un quadro di Basquiat, figure stridenti immortalate in un
affresco sconvolgente.
Giannubilo costruisce il libro sulle sue
conversazioni con Manzoni, ma al lettore sorge un dubbio, sarà tutto vero?
Com’è possibile che rivelazioni di questo tipo non suscitino clamore? È lo
stesso autore a risponderci nel libro:
Cosa risponderò a chi mi
chiederà come mi sia potuto fidare a scatola chiusa di un uomo che ha passato
la sua intera vita a simulare? A un romanziere si può perdonare qualunque cosa,
anche la pratica della menzogna – un peccato connaturato al normale esercizio
delle sue funzioni – fuorché la dabbenaggine.
Ecco quello che dirò […] –
che ce l’ho messa tutta per vagliare ogni singola frase dell’intervista e del
nostro scambio epistolare, confrontando le sue cronache e i documenti che mi ha
fornito con un’infinità di fonti, passando allo scanner dati e date per due
anni abbondanti. E che le contraddizioni e le incongruenze che ho registrato mi
sono parse assolutamente fisiologiche in un’autonarrazione così lunga e
travagliata.
Il risolutore è un bel romanzo, con
contorni di spionaggio alla John le Carré, anche se l’ispirazione è
chiara ed evidente: Limonov. L’analogia è molto forte, entrambi i personaggi
sono letterati ed entrambi hanno un passato militare. La differenza sta nei
loro biografi: Giannubilo intermezza nel racconto alcuni pezzi di autofiction,
cercando di riproporre la chiave vincente di Carrère. La sensazione di
riprodurre la formula narrativa può essere letta come un chiaro omaggio,
cercando di non scadere nell’esatta replica e di dare al lettore la sensazione
di aver letto un Limonov in salsa romagnola.
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