“La ferrovia sotterranea” è un romanzo sulla
schiavitù dei neri nell’America di metà Ottocento.
Detta così sembra una
descrizione molto asettica, quasi sterile, ma in realtà il libro è un pugno
allo stomaco per il lettore. Chi decide di leggerlo deve mettere in conto
un’automatica reazione emotiva alla morale di quell’epoca.
La
protagonista è Cora, una piccola bambina che vive in una piantagione di cotone
in Georgia, in quell’America del Sud dove ancora regna la schiavitù. Whitehead
ci descrive la vita nei campi tramite gli occhi di Cora: la lavorazione dei
campi è forzata e il suo eseguimento viene supervisionato attentamente da
controllori senza scrupoli. I lavoratori conducono una vita di stenti, sono
nutriti a malapena e devono rispettare pedissequamente gli ordini del padrone e
gli orari di lavoro.
Cora,
appena adolescente, si ritrova a dover sopravvivere in queste condizioni senza
più una madre. La vita si fa sempre più faticosa, quando conosce Caesar un
altro schiavo come lei. Il ragazzo suggerisce a Cora un’idea stravagante ed
inconcepibile per gli abitanti del campo: la fuga.
Convinta
dalla sempre più crudele pericolosità del campo, i due decidono di fuggire.
Fuggendo sanno di rischiare la propria vita, non esiste un perdono ed un felice
ritorno alla tenuta. Come hanno visto e sentito raccontare, chi torna in
catene, catturato da qualche cacciatore, deve subire la morte, molte volte dopo
efferate torture.
A
questo punto arriva la caratteristica che dà il titolo al romanzo: la ferrovia
sotterranea. Gli storici definiscono con quest’espressione la rete di contatti
che aiutava i neri ad affrancarsi dalla schiavitù, scappando nelle regioni
abolizioniste del Nord. Whitehead, trasforma narrativamente questa rete in un
vero e proprio collegamento interrato, simile ad una metropolitana ante
litteram.
Nella
realtà narrativa Cora e Caesar riescono a scappare e in questo modo comincia la
loro fuga perenne dal loro padrone Randall. La fuga non è solo dal campo, ma
anche dalla loro vecchia vita. Non basta cambiare semplicemente luogo, i dolori
e le frustrazioni del campo hanno segnato la vita ed è difficile affrancarsene.
La
condizione di fuga è quindi perenne, ogni posto non è mai veramente sicuro.
Sulle loro tracce c’è Ridgeway, un leggendario ed infallibile cacciatore di
neri scappati, che rappresenta uno spauracchio sempre presente. Il libro
racconta la storia della fuga di Cora, sempre diretta verso la libertà, tramite
paesi, viaggi e continue umiliazioni, con un unico obiettivo: la libertà.
Quando
comincia a vivere liberamente, Cora deve fare i conti con una vita totalmente
nuova. Si pone le questioni dell’integrazione in una società che accetta i
neri, capisce che l’istruzione è l’unico vero modo di liberarsi e diventare una
persona nuova.
Il
libro rappresenta una storia difficile da leggere, perché bisogna fare i conti
con l’analisi che Whitehead fa di quel periodo. La vita nel Sud schiavista è
impossibile per un nero, sia che sia uno schiavo o una persona libera. I
bianchi vengono dipinti come gente timorata di Dio, ma pronti a crocifiggere e
bruciare gli schiavi, in virtù della loro supremazia. Ovviamente ci sono le
eccezioni, rappresentati in quei collaboratori della ferrovia, che sfidano i
loro compagni, mettendo a repentaglio la loro stessa vita.
Il
libro è consigliato a tutti coloro che vogliono approfondire quel periodo
storico, magari affascinati da film come Django Unchained o 12 anni
schiavo, che per alcuni versi sembra di intravedere tra le righe del
romanzo. Come garanzia di qualità si possono citare due tra i premi che Colson
Whitehead ha vinto con questo libro: Pulitzer per la narrativa e National Book
Award per la narrativa nello stesso anno.
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