“La musica del caso” sembra essere il classico romanzo sul mito del on
the road americano, un lungo viaggio da costa a costa, sulle lunghe e polverose
highways che attraversano il deserto. C’è tuttavia un indizio che sembra
nascosto ad un primo sguardo: la componente del caso, quel mazzo di carte in
copertina nella mia edizione. C’è forse di più oltre ai classici risvolti del
tema del viaggio, come la maturazione tramite i km percorsi?
C’è molto di più, c’è una riflessione su diversi aspetti quasi
filosofici in questo romanzo di Paul Auster, che usa il tema del viaggio per
attirare e coinvolgere il lettore per poi parlare di una situazione totalmente
differente.
L’inizio della narrazione sembra
molto semplice, Jim Nashe, un uomo separato dalla moglie e dalla figlia, grazie
all’eredità di un padre mai conosciuto, si ritrova improvvisamente pieno di
soldi da spendere. I primi acquisti sono molto banali, una macchina, una
vacanza, qualche sfizio e nulla più. Tuttavia il vero regalo che si compra è la
libertà, non tanto dal lavoro che in fondo gli piace, ma dalla vita lavorativa,
monotona e ripetitiva. Comincia a vagare su e giù per le strade degli Stati
Uniti a bordo della sua macchina sportiva. Il viaggio diventa una componente
essenziale del suo essere. La velocità diventa una droga e la mancanza di
movimento gli provoca crisi d’astinenza. Conduce una vita on the road per più
di un anno, girando più volte gli Stati Uniti, senza fermarsi mai, senza
stringere delle relazioni con qualcuno.
“non
aveva nessun piano definito. Tutt'al più l'idea era di lasciarsi andare alla
deriva per un po', viaggiare da un posto all'altro e vedere cosa succedeva.
Pensava di stancarsi in un paio di mesi, e a quel punto si sarebbe seduto a
riflettere sul da farsi. Ma i due mesi passarono e lui non era ancora pronto a
smettere. A poco a poco, si era innamorato della sua nuova vita libera e
irresponsabile, e una volta che questo accadde, non c'era più nessuna ragione
di smettere.”
L’unico freno ai suoi viaggi è il
denaro. Infatti, questo tipo di vita ha un costo, che diventa insostenibile
quando i soldi stanno per finire. A questo punto entra in scena Jack Pozzi.
Jim trova questo ragazzo per
strada, distrutto dalle percosse ricevute. Dopo averlo fatto riprendere, scopre
che è un giocatore di poker amatoriale che si guadagna da vivere con le partite
di carte, ma ogni tanto gli va male e finisce all’ospedale.
Jim vede in Jack una possibile
svolta della sua vita, in fondo gli rimangono pochi soldi dall’eredità e continuare
a spenderli per viaggiare gli garantirebbe solo qualche mese aggiuntivo.
Assecondando questo pensiero, gioca con il destino, provando a vincere un’altra
volta. Punta i suoi denari su Jack, finanziandolo per una partita a poker
contro Flower e Stone, due eclettici milionari.
La partita si terrà nella dimora
dei due ricchi giocatori. I due sono diventati ricchi vincendo alla lotteria e
da allora la loro ordinaria vita di impiegati è stata trasformata in una
girandola di stravaganze e capricci da ricchi annoiati. Vivono in una grande
tenuta immersa nel verde, dentro una villa fatta più da padiglioni che da
stanze. Gli hobby dei due ricchi sono molto bislacchi: hanno entrambi una
passione maniacale per il collezionismo, a volte anche di oggetti inutili. La
loro eccentricità si può esemplificare con la volontà di voler costruire un
muro fatto con le pietre di un castello europeo, comprato e importato pezzo per
pezzo dall’Europa.
Dopo la loro introduzione, può
finalmente incominciare la partita a poker. Il gioco diventa subito una guerra,
i tre giocatori si giocano una grande quantità di soldi e nessuno ha intenzione
di perdere. Ogni mano rappresenta la possibilità per studiare i comportamenti
degli avversari, capire i loro tic e i
loro bluff.
Jack, perde il suo atteggiamento
istrionico in cerca di calma e concentrazione. Tuttavia il caso ha deciso
qualcos’altro per lui e per Jim, così la partita, nonostante i continui
rientri, con denaro finanziato da Jim, finisce in una disfatta.
I due amici si trovano con le
spalle al muro, costretti a ripagare un debito enorme senza più denari in
tasca. Flower e Stone propongono un patto: fermarsi a lavorare da loro,
costruendo il loro muro medievale in giardino. Affranti dalla soluzione trovata
ma senza possibilità di scampo i due accettano controvoglia.
La loro vita diventa un inferno e
la residenza è simile ad una prigionia forzata. Si ritrovano a vivere in un
camper, immersi in una radura verde contorniata da foschia che si mischia agli
alberi di cinta. La solitudine è attenuata solamente dalla gravità e dalla
pesantezza del lavoro: devono spostare pietre enormi, difficili da alzare e
movimentare. I due, che nonostante tutto si conoscono da poco, diventano amici
stretti e puntano sulla loro amicizia per sopravvivere a quella desolazione. Le
giornate si ripetono tutte uguali, le pietre da spostare sono tutte uguali,
l’unica scelta che rimane è come affrontare lo strazio che è capitato loro.
Jim assume un comportamento quasi
paterno nei confronti di Jack. Lo aiuta nei momenti più difficili,
sobbarcandosi anche parte del suo lavoro. Jim vede in questo lavoro e in questa
forma di solitudine forzata una possibilità di redenzione per la vita on the
road che ha compiuto, la possibilità di fermarsi finalmente e ragionare su
quello che potrà essere il suo futuro. Jack, che prima era istrionico,
strafottente e sfrontato cade in una forma di depressione per via di quella
vita sacrificata.
Rimane da capire come vivranno
quest’esperienza e se riusciranno a sopravvivere.
Tutto il libro è pieno di
metafore, ma la parte più interessante è certamente quando in cui i due
protagonisti si incontrano e cominciano la loro avventura insieme. Già il loro
arrivo alla casa è emblematico, una dimora totalmente isolata, in strade
impervie si contrappone alle lunghe autostrade nel deserto che Jim percorreva
fino a poco tempo prima. Le simbologie vanno avanti con gli oggetti
collezionati dai due milionari, che una volta vinta la partita, tratteranno i
protagonisti al pari di questi oggetti, esercitando un ruolo quasi di divinità
malvagia sulla loro sorte.
La parte migliore del romanzo
riguarda indubbiamente la prigionia. La loro reclusione è forzata dal fatto di
essere sorvegliati dal custode, che rappresenta il volere maligno di Flower e
Stone.
Il lavoro è faticoso e insieme
alla solitudine causa depressione nei due protagonisti. In questo periodo
emergono le inquietudini e le angosce di Jim e di Jack e nello stesso lettore
emerge forte una sensazione di alienazione dovuta all’immedesimazione nella
loro straniante solitudine.
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