I detective selvaggi

Sono stato cordialmente invitato a far parte del realismo viscerale. Come è ovvio, ho accettato. Non c’è stata alcuna cerimonia di iniziazione. Meglio così. 

“I detective selvaggi” di Roberto Bolaño è un romanzo caleidoscopico, infatti ci sono tantissimi personaggi e ognuno racconta la propria storia, che è in qualche modo collegata a quella di tutti gli altri tramite la presenza dei due protagonisti: Arturo Belano e Ulises Lima. Questi due personaggi sono due giovani poeti nel Messico degli anni ’70.
Cominciamo a conoscerli nel ’75 con gli occhi del diciasettenne Juan Garcia Madero, un giovane universitario appassionato di poesia. La prima parte del romanzo, denominata Messicani perduti in Messico, è il racconto con il punto di vista di Juan del suo incontro con i due. Il giovane lascia l’università e la famiglia per unirsi alla corrente poetica dei realvisceralisti di cui Belano e Lima sono i fondatori. Intorno a due ci sono tanti altri ragazzi, che con le loro vite da bohémien, scrivono poesie, danno i loro giudizi e criticano tutti gli altri poeti, cercando di portare una rivoluzione culturale che rappresenti una rottura con il passato.
Juan cerca di avvicinarsi al gruppo di giovani poeti, ma sono tutti sfuggenti, soprattutto Ulises e Arturo che appaiono e scompaiono ad intermittenza. Comincia a scrivere le sue prime poesie, ad amare le sue prime donne, una poeta, una cameriera ed infine una prostituta. Per salvare la prostituta dalla furia del suo lenone, incomincia una fuga disperata con Arturo e Belano nel deserto del Sonora. Siamo a capodanno del 1976.
Pausa. Finisce il primo atto.
La storia ricomincia, non c’è più Garcia Madero a narrare e ci si chiede dove sia finito: cos’è successo in quel deserto? La narrazione ha un’elisione temporale, sparisce quel periodo e si ricomincia qualche mese dopo.
Uno dopo l’altro si susseguono una cinquantina di narratori che ci tengono a raccontare la loro esperienza, i loro aneddoti. Inizialmente si rimane senza punti di riferimento, chi sono questi personaggi, quali legami hanno con la storia principale? Piano piano che si prosegue con la lettura, il legame appare evidente, i capisaldi della narrazione sono le vite di Lima e Belano, che appaiono nelle vicende narrate.
Le vicende di Arturo e di Ulises si possono paragonare ad una via, che ad un certo punto, davanti ad un bivio, si scinde in due strade parallele. Il lettore non percorre mai queste due strade principali, infatti la narrazione non è condotta dal loro punto di vista. Sembra quasi di stare nelle stradine secondarie che si affacciano alle due principali, si può scorgere qualcosa, vedere se ci sono buche o impedimenti sul percorso, senza mai cogliere a pieno la vista. Questo è dovuto al fatto che Bolaño usa tantissimi narratori secondari che narrano la loro vicenda; questo si può declinare in piccoli frammenti di vita o magari in dei mini-racconti che volontariamente o quasi incidentalmente vedono come protagonisti Arturo e Ulises. 

“C’è una letteratura per quando ti annoi. Fin troppa. C’è una letteratura per quando sei calmo. Questa è la letteratura migliore, io credo. C’è anche una letteratura per quando sei triste. E c’è una letteratura per quando sei allegro. C’è una letteratura per quando sei avido di conoscenza. E c’è una letteratura per quando sei disperato. Quest’ultima è quella che volevano fare Ulises Lima e Belano. Grave errore, come si vedrà più avanti. Prendiamo, per esempio, un lettore medio, un tipo tranquillo, colto, dalla vita più o meno sana, maturo. Un uomo che compra libri e riviste di letteratura. Bene, ecco. Quest’uomo può leggere quello che si scrive per quando si è sereni, per quando si è calmi, ma può anche leggere qualunque altro genere di letteratura, con occhio critico, senza complicità assurde o vergognose, spassionatamente. Questo è quel che penso io. Non voglio offendere nessuno. Adesso prendiamo il lettore disperato, al quale presumibilmente è rivolta la letteratura dei disperati. Come lo vedete? Primo: si tratta di un lettore adolescente o di un adulto immaturo, vigliacco, con i nervi a fior di pelle. È il tipico coglione (mi si perdoni l’espressione) che si suicidava dopo aver letto il Werther. Secondo: è un lettore limitato. Perché limitato? Elementare, perché non riesce a leggere altro che letteratura disperata o per disperati, una cosa vale l’altra, un individuo o un mostro incapace di leggere tutto d’un fiato La ricerca del tempo perduto, per esempio, o La montagna magica (nella mia modesta opinione un paradigma della lettura tranquilla, serena, completa) o, se vogliamo, I miserabili o Guerra e pace. Credo di aver parlato chiaro, no?…”

I narratori sono personaggi di tutti i tipi. Non sono mai loro. Non c’è un capitolo che lasci a loro la parola, Bolaño ce li fa conoscere solo tramite le parole altrui. La parola dei narratori è tutto meno che oggettiva, alcuni li amano, altri li odiano, altri quasi non ne parlano, concentrandosi sui loro pensieri, seminando dei piccoli racconti autosufficienti all’interno del romanzo.
Durante le vicende descritte è narrata la vita peregrina e avventurosa di Belano e Lima. Li si trova in fuga dal Messico, e mentre ci si chiede da cosa sono in fuga, ci accompagnano nei loro viaggi in giro per il mondo. Arturo va in Spagna svolgendo vari lavori, da guardiano di un camping a cameriere in bar. Gira affranto tra amori e delusioni. Vive situazioni paradossali, come il calarsi da una montagna o un improbabile duello con spade. Lo si lascia in fuga dall’amore nell’Africa profonda, quasi come fosse il conradiano Kurtz. Ulises scompare e riappare ad intermittenza nei suoi lunghi viaggi; fa il poeta a Parigi, va in Israele per amore per poi tornare in Europa e riapparire nuovamente in Messico.
Tutta questa seconda parte narrativa, denominata I detective selvaggi, si dipana, tra i vari aneddoti cronologici, dal 1976 fino al 1996. Al suo interno c’è una sottile linea comune: il riferimento è la ricerca di Cesárea Tinajero, la fondatrice del movimento del realvisceralismo, a cui i due protagonisti si sono ispirati per il nome del loro gruppo di poeti. Questa poetessa è praticamente sconosciuta, non si trovano frammenti delle sue poesie. La ricerca della sua opera e delle origini del suo mito è legata ad una chiacchierata con Amedeo Salvatierra, un vecchio amico di Cesarea, che tra un bicchiere e l’altro di mezcal racconta delle sue origini e spinge i giovani alla sua ricerca. L’unica poesia di Cesárea è criptica e affascinante, a tal punto da spingere i protagonisti alla ricerca della scrittrice.


La terza parte del libro, denominata I deserti del Sonora, racconta gli avvenimenti successivi alla fuga della prima parte. Ritorna il personaggio di Garcia Madero che, tramite il suo punto di vista, racconta in parallelo la fuga dal prosseneta della sua compagna prostituta e la ricerca di Cesarea. Riusciranno Arturo e Ulises a ritrovare Cesarea e le sue opere? Riusciranno a sfuggire alla violenza del protettore? Cosa li obbligherà ad una vita di fuga perenne?
Questa parte, sebbene posta alla fine del romanzo, si svolge a cavallo delle due parti antecedenti. Il finale di questa ricerca segnerà le vite di Arturo e di Ulises, che, per fare i conti con quello che hanno vissuto e scoperto, cominceranno a vagabondare per il mondo, consapevoli di aver fallito la propria rivoluzione.
La trama dei Detective selvaggi non è intrinsecamente complessa, infatti la grande suggestione di questo romanzo riguarda la forma più che il contenuto.
Uno degli aspetti principali è la suddivisione del libro in tre parti. La terza parte è posta cronologicamente dopo la prima, ma posizionata furbescamente dopo la seconda. Questo semplice trucco serve per lasciare suspence sugli avvenimenti centrali, che motivano i comportamenti e la vita dei protagonisti.
La narrazione con tantissimi punti di vista scelta da Bolaño si può definire come un esperimento di cubismo letterario, vediamo tante facce dei vari protagonisti, tante storie che si susseguono su piani temporali diversi.
Il risultato che ne deriva è una percezione caleidoscopica della realtà, in cui ci si orienta tramite i pensieri dei vari personaggi. Arturo ed Ulisses sono due personaggi inquieti ed affascinanti. I due in realtà non sono poeti, non conoscono neanche così tanto la poesia, ma la usano come strumento per compiere una rivoluzione, cercando di ispirare, inutilmente, la loro generazione ad una rivolta contro lo status quo. Sono instancabili viaggiatori che si spostano senza programmi, vivono di espedienti, si fanno ospitare, si innamorano e ripartono. La loro vita è condotta senza una metà di riferimento, falliscono nella poesia, sciolgono il movimento dei realvisceralisti, falliscono nella loro rivoluzione e si ritrovano senza obiettivi o scopi per cui vivere. L’uso di queste due figure esemplificative permette a Bolaño di descrivere il racconto corale di una generazione, tramite una pluralità di storie dislocate nel tempo e compromesse nella morale. Emerge la delusione di non aver lasciato il segno, di non aver fatto la rivoluzione tanto sperata: nessuno pubblica qualcosa di fondamentale, non c’è nessuna voce che emerge che dal coro, la poesia come felice illusione perde la magia e viene abbondonata.
Un’ultima nota sul libro riguarda l’origine dei personaggi di Arturo ed Ulisses. Il romanzo ha un carattere autobiografico, in quanto Arturo Belano altri non è se non Roberto Bolaño, mentre Ulisses Lima è la controfigura del suo caro amico Mario Santiago Papasquiaro. I due fondarono il movimento poetico infrarealista, chiamato anche “Dada alla messicana”, per proporre un’alternativa di avanguardia contro la casta letteraria messicana, incarnata all’epoca dalla figura del poeta Octavio Paz. Il movimento si scioglierà inesorabilmente e Bolaño emigrerà in Europa.
Anni dopo invierà una lettera al suo amico Mario Santiago (da Roberto Bolaño, L’ultima conversazione, SUR):

Sto con le finestre aperte, fuori piove, una tormenta d'estate, lampi, tuoni. Come sta il Messico? come stanno le strade del Messico, il mio fantasma, gli amici invisibili? Quando miglioreranno le mie finanze apparirò a casa tua una notte qualsiasi. E sennò fa lo stesso. Il tratto che abbiamo percorso insieme in qualche modo è storia e rimane. Voglio dire: sospetto, intuisco che è ancora vivo, in mezzo all'oscurità, ma vivo, e ancora, chi lo avrebbe detto, sfidante. Bene non diamoci troppe arie. Sto scrivendo un romanzo dove tu ti chiami Ulises Lima. Il romanzo si chiama I detective selvaggi. Un forte abbraccio. R.”

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