Un lungo monologo, una chiacchierata davanti ad una cena pakistana e
tra un piatto tipico e l’altro un racconto di una vita. È questa la forma che
Mohsin Hamid sceglie per basare il romanzo “Il fondamentalista riluttante”.
Changez è un pakistano che dopo aver studiato e lavorato negli Stati
Uniti, torna al suo Paese e in occasione di una cena con un americano gli
racconta la propria esperienza.
Changez è un ragazzo che grazie ad una borsa di studio va a studiare a
Princeton e dopo l’università si ritrova a lavorare per un’importante società
di consulenza finanziaria. Il suo mondo viene stravolto sia per le abitudini
sia per i costumi locali così differenti da quelli pakistani cui è abituato. Da
una parte c’è la consapevolezza delle proprie origini e della propria cultura
nativa. Dall’altra c’è il mondo americano dell’eccellenza, prima
all’università, poi negli affari, fatto da una posizione di comando nella gerarchia
sociale che comporta libertà e poteri assoluti verso il prossimo.
Lo scontro tra queste due culture vive nei comportamenti di Changez,
che viene considerato “diverso” per il comportamento, ma non in senso razzista,
ma elogiato per la sua calma e le sue buone maniere.
Il suo ambientamento è graduale, all’università si sente quasi un
pesce fuor d’acqua tra i giovani rampolli figli dell’élite americana. Una volta
che comincia a lavorare in una grande azienda, sente che la sua preparazione
gli spiana le porte al successo, verso un mondo fatto di onori e denari.
“Nelle carrozze della metropolitana la mia pelle si situava
regolarmente al centro dello spettro dei colori. Agli angoli delle strade i
turisti mi chiedevano indicazioni. In quattro anni e mezzo non ero mai stato
americano; mi ritrovai ad essere immediatamente newyorchese.”
Tuttavia tutto cambia all’improvviso. Il mondo si trasforma sotto i
suoi piedi, senza che lui possa far nulla. L’attentato dell’11 settembre 2001
cambia il clima e la percezione verso gli stranieri e le culture differenti,
soprattutto quelle ritenute ostili. Il fragile equilibrio che Changez aveva
trovato a fatica nella sua vita viene scombussolato. Non sa più che a cultura
appartenere o forse non lo ha mai saputo e si era semplicemente ingannato. Non
si riconosce nella dottrina americana, diventata improvvisamente guerrafondaia,
e neanche in quella pakistana, ritenuta distante e quasi dimenticata con
colpevolezza.
“La mattina dopo arrivai per la prima volta in ritardo al lavoro. Avevo
dormito troppo e mi ero svegliato con un terribile mal di testa. La mia rabbia
si era placata, ma per quanto volessi far finta di essermi immaginato tutto,
non ero più capace di un così smaccato autoinganno. Tuttavia mi dissi che avevo
avuto una reazione esagerata, che non ci potevo fare niente, e che gli
avvenimenti internazionali non avevano nulla a che fare con la mia vita
personale. Ma continuavo a sentire le braci che mi bruciavano dentro, e
contrariamente al solito quel giorno ebbi difficoltà a concentrarmi sui
fondamenti.”
Le questioni identitarie non riguardano soltanto la sfera privata ma
anche quella lavorativa. Non si sente più a suo agio ad interpretare la figura
dell’ottimizzatore, di colui che deve indicare il superfluo nelle aziende, cioè
ad indicare chi licenziare. Lui che ha ottenuto il successo lavorativo
concentrandosi sui freddi numeri, quei fondamentali così privi di umanità, si
ritrova di colpo inadatto al lavoro, incapace di eliminare le sue emozioni dai
suoi ragionamenti. Un simbolico viaggio in Cile lo convince che tutto ciò per
cui ha vissuto, gli studi, il lavoro e la fama, sono in antitesi con ciò che
era e che sente tuttora di essere. Si sente riluttante verso la cultura che
l’ha maturato, facendogli rinnegare le sue origini, e facendogli distruggere,
tramite il suo lavoro, ciò che rappresentava.
Tutta la storia, fatta dal conflitto identitario interiore vissuto dal
protagonista, è abbellita da una struggente storia d’amore di Changez verso una
sua ex compagna universitaria. Il loro avvicinamento e la loro fine sono
funzionali ai periodi di integrazione e allontanamento dalla società americana
e newyorchese.
La bellezza di questo libro, oltre alla sua scrittura molto
scorrevole, riguarda la capacità di osservare la storia da un punto di vista
diverso da quello della comunità occidentale. È interessante vedere come,
cambiando il punto di vista, gli avvenimenti assumono un significato relativo e
diverso.
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