Ritorno a Torino dei signori Tornio


Ascolto consigliato: “Portapalazzo” – Willie Peyote
Come sarebbe tornare a Torino nel 2006 per chi è rimasto fermo al 1982?
Giuseppe Culicchia prova a rispondere a questa domanda raccontando l’evoluzione della città, dal dopoguerra ad oggi, passando tra scontri cittadini e rivoluzioni architettoniche.



Tramite un atto teatrale ambientato in un tram, Culicchia, parlando per voce del personaggio del tranviere, ci porta a passeggio per le vie di Torino, quelle centrali e quelle periferiche, perché entrambe raccontano a modo loro l’anima e la storia della città.
Si parte dagli anni ’50, quelli del boom economico, quelli della Fiat. La casa automobilistica all’epoca era Torino e Torino era la Fiat. Questa uguaglianza determinava i flussi di immigrazione dal sud, migliaia di persone, arrivate in cerca di lavoro, finiscono per definire un nuovo tessuto sociale. La nuova città si arricchiva di nuove persone, inizialmente osteggiate per poi diventare i nuovi torinesi.
La ricchezza prodotta finisce presto e arrivano gli anni degli scontri. Le piazze si riempiono, le strade sono i palcoscenici di tumulti e manifestazioni che spesso si tingono di violenza e che determinano un clima di paura.
Le periferie svolgono un ruolo importante per la città, da ambiente degradato e abbandonato sembrano essere il simbolo della ripresa di quella città che integra e accoglie, prima i meridionali e poi i nuovi immigrati, gli stranieri. La mancanza del lavoro e la fine della “vita Fiat” determinano un cambiamento necessario in città, un cambiamento che stravolge il vecchio paradigma della città grigia e operaia.
Le trasformazioni sono stranianti: le vie e le piazze del centro diventano pedonali, la metropolitana, le Olimpiadi, la cultura, le mostre sono tutti punti di svolta per il futuro della città. 
La nuova Torino non è più quella degli anni ’50 e non lo sono neanche i torinesi. La città è cambiata, maturata, anzi ringiovanita, essendo diventata un luogo aperto a divertimenti e alla cultura e non solo alle fabbriche.

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