Ascolto consigliato “Dentro i miei
vuoti”, Subsonica
“Tre camere a
Manhattan” è un libro quasi autobiografico di Simenon. Nonostante sia stato scritto
in soli 6 giorni, l’autore in 181 pagine riesce a descrivere in modo fulgido
una torbida storia d’amore.
Il protagonista
è François Combe, un famoso attore francese alla
deriva, esule volontario dalla Francia, fuggito a Manhattan per scappare dalla
vicinanza con la moglie, che l’ha lasciato per un giovane gigolò. François è
solo e la sua solitudine ne modella la vita e le aspirazioni. Non cerca e non
ottiene lavori degni del suo prestigio e si rinchiude nel suo appartamento e
nei bar, cercando di spiare la vita altrui dai rumori di un muro e dai
bicchieri di un whiskey.
In uno di questi giorni, frastornato dalla sua
emarginazione ed esasperato dall’invidia per le urla ansimanti di vita del
vicino, scappa per strada. È una notte insonne e si rinchiude in un bar per
fuggire dalla sua solitudine e da sé stesso.
In questo bar incontra Kay, una donna misteriosa con cui
incomincia a chiacchierare. Kay non è più giovanissima, ma risulta magnetica
mentre comincia a raccontare la sua storia senza tregua: si susseguono aneddoti
fantastici e inverosimili, dai viaggi in Europa al matrimonio con un ambasciatore.
François rimane affascinato da queste storie, seppur non credendoci fino in
fondo.
I due cominciano a vagare durante la notte newyorchese,
tra un bar e un altro, tra una sigaretta e un whisky. Rimangono attaccati senza
saper neppure come e finiscono in un motel a consumare i loro desideri. Quello
che la solitudine di una notte ha creato non si distrugge la mattina dopo. I
due protagonisti si sentono vicini, entrambi legati dalle rispettivi
solitudini.
La mattina li
coglie insieme, assonati nel motel. La giornata e la notte sono fatti di lunghe
camminate per Manhattan, avanti e indietro come una pallina da ping pong.
Il loro legame
evolve quando François la porta a casa sua. I due
cominciano a raccontarsi apertamente le loro vicende, senza lasciare fuori le
scomode verità. Kay gli rivela che la loro prima notte è finita con lui solo perché
è stato il primo a passare, ma sarebbe andata con chiunque. François, tentato
dalla passione ritrovata dopo che era stata troppo tempo sepolta dalla sua
solitudine, mette da parte l’orgoglio e comincia a fremere di gelosia per il
passato della ragazza. Vuole sapere ogni particolare e conoscere ogni possibile
amante. La gelosia è solo una reazione apparente, François non conosce
veramente Kay e dubita dei suoi racconti, ma ne è geloso per paura di ricadere
nella solitudine.
La terza camera è quella di Kay, i due consumano il loro
amore prima di lasciarsi temporaneamente per via di un viaggio della donna. Durante
l’assenza di Kay, François è stravolto dalla gelosia e dal ritorno della
solitudine: ha paura di ritornare da solo, ha paura che Kay non ritornerà.
Sfogando i suoi tormenti nell’alcool e nella rabbia, va con un’altra ragazza,
ma è solo al ritorno di Kay che capisce il suo amore. Il loro ricongiungimento
è il simbolo di un nuovo futuro, la chiave per una nuova partenza, una nuova
camminata nelle loro vite, fianco a fianco, mano nella mano.
Uno dei protagonisti
principali del libro è sicuramente New York. La città che non dorme mai, fatta
da mille luci e da mille strade, è sempre sullo sfondo della vita di François e Kay. I due si incontrano in un bar notturno e si
conoscono camminando per le vie di Manhattan.
La raffigurazione della città è cupa e malinconica, le atmosfere
notturne sono prevalenti: dalle descrizioni di Simenon, sembra di stare in un
quadro di Hopper a fianco ai protagonisti a bere whisky, immersi nel fumo di
sigarette e cullati dal suono di un jukebox.
La confusione della città appare e scompare ad intermittenza,
il giorno e la frenesia sono dimenticati e nascosti, i protagonisti vivono
durante la notte, in ambienti intimi e silenziosi, al riparo dai rumori e dalle
altre persone. I posti chiusi sono un rifugio: i bar e gli appartamenti. Le tre
camere sono una caverna dove non arriva la luce del mondo esterno, il mondo che
li ha delusi e li ha lasciati soli. Il sarto ebreo che spiano dalla finestra
sembra quasi l’unico appiglio stabile alla realtà, un'ancora che non li lascia
andare alla deriva della loro solitudine.
La loro solitudine e gli spazi chiusi sono anche metaforici;
i due protagonisti, durante il romanzo, fanno lunghe passeggiate, utili a
conoscersi. Ma le strade sono quasi sempre deserte, e i pochi passanti è come
se non esistessero, solo un piccolo disturbo tra un passo e l’altro. Le camminate
rappresentano anche una analogia con le loro vite: le passeggiate sempre per le
stesse vie e per gli stessi punti fissi, servono per costruire dei punti in
comune alla loro breve storia.
“Era come se, per
miracolo, avessero percorso in una sola notte, in meno di una notte, tutte le
tappe che gli amanti impiegano di solito settimane o mesi ad attraversare”
È come se camminassero per le strade delle loro vite e delle loro
paure, speranze, debolezze, gelosie e rabbie.
“Di che cosa aveva
dunque paura? Di lei? Di sé stesso? Del destino? La sola cosa certa era che
aveva bisogno di rituffarsi nella folla insieme a lei, di camminare, di
fermarsi in certi piccoli bar, di stare gomito a gomito con degli sconosciuti
ai quali non si chiede certo scusa quando li si urta o gli pesta un piede; bisogno,
forse, di irritarsi vedendola lasciare immancabilmente l’impronta rotonda delle
labbra su quella che, a sentir lei, doveva essere sempre l’ultima sigaretta.”
Le loro solitudini si avvolgono e creano una complicità di
unirsi, di rimanere legati per sopravvivere. Il loro stare uniti è l’unico modo
per tornare alla realtà e uscire dalle loro stanze.
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