I fiori del male


Epigrafe per un libro condannato

Non scrissi, o lettore innocente,
pacifico e buon cittadino,
per te questo mio saturnino
volume, carnale e dolente.

Se ancora non hai del sapiente
Don Satana appreso il latino,
non farti del mio sibillino
delirio turbare la mente!

Ma leggimi e sappimi amare,
se osi nel gorgo profondo
discendere senza tremare.

O triste fratello errabondo
che cerchi il tuo cielo diletto,
compiangimi, o sii maledetto!


La distruzione
Senza posa al mio fianco si agita il Maledetto,
e come un vago soffio nell’aria si dirama;
io lo respiro e sento che mi versa nel petto
il fuoco d’un’eterna e colpevole brama.

A volte, poiché sa quanto l’Arte m’attiri,
d’una maliosa donna le sembianze disegna
e coi più gesuitici e speciosi raggiri
ignobili misture alle mie labbra insegna.

Così, senza né forze né fiato, mi conduce
lontano, ove nessuna orma di Dio riluce,
nelle piane del Tedio, infinite, deserte;

e getta nei miei occhi pieni di confusione,
mucchi di vesti sozze, grandi ferite aperte,
e la tua sanguinosa maschera, o Distruzione!

L’uomo e il mare
E tu sempre amerai, uomo libero, il mare!
In lui ti specchi intero: nei giuochi sempre nuovi
Delle sue onde innumeri i moti tuoi ritrovi,
e nei suoi acri vortici le tue latebre amare.

In seno alla tua immagine entri senza spavento,
e con gli occhi e le braccia l’accarezzi: il tuo cuore,
talora distraendosi dal suo proprio rumore,
gode di quel selvaggio, indomito lamento.

Nessuno è come voi tenebroso e discreto:
chi osa, uomo, calarsi nei tuoi gorghi profondi?
Chi, mare, a te contendere i beni che nascondi?
Tanto siete gelosi d’ogni vostro segreto!

Ma ecco, un contro l’altro, in spietati duelli
V’accanite da secoli a tentar la sorte:
a tal punto vi eccita il massacro e la morte,
o lottatori eterni, disumani fratelli!

Inno alla bellezza

Vieni dal cielo profondo o l’abisso t’esprime,
Bellezza? Dal tuo sguardo infernale e divino
Piovono senza scelta il beneficio e il crimine,
e in questo ti si può apparentare al vino.

Hai dentro gli occhi l’alba e l’occaso, ed esali
Profumi come a sera un nembo repentino;
sono un filtro i tuoi baci, e la tua bocca è un calice
che disanima il prode e rincuora il bambino.

Sorgi dal nero baratro o discendi dagli astri?
Segue il Destino, docile come un cane, i tuoi panni;
tu semini a casaccio le fortune e i disastri;
e governi su tutto, e di nulla t’affanni.

Bellezza, tu cammini su morti che deridi;
leggiadro fra i tuoi vezzi spicca l’Orrore, mentre,
pendulo fra i più cari ciondoli, l’Omicidio
ti ballonzola allegro sull’orgoglioso ventre.

Torcia, vola al tuo lume la falena accecata,
crepita, arde e loda il fuoco onde soccombe!
Quando si china e spasima l’amante sull’amata,
pare un morente che carezzi la sua tomba.

Venga tu dall’inferno o dal cielo, che importa,
Bellezza, mostro immane, mostro candido e fosco,
se il tuo piede, il tuo sguardo, il tuo riso la porta
m’aprono a un Infinito che amo e non conosco?

Arcangelo o Sirena, da Satana o da Dio,
che importa, se tu, o fata dagli occhi di velluto,
luce, profumo, musica, unico bene mio,
rendi più dolce il mondo, meno triste il minuto?

T’amo come l’immagine

T’amo come l’immagine della volta notturna,
o vaso di tristezza, o grande taciturna;
e più quando elusiva mi sfuggi, seducente
gemma delle mie notti, e ironicamente
leghe su leghe accumuli, distanze su distanze,
e rubi alle mie braccia le azzurre lontananze.

Io m’avanzo a combattere, all’assalto m’inerpico,
come sopra un cadavere uno stuolo di vermi:
o implacabile, cruda belva, più bella ancora
nel gelo che t’impietra e il cuore m’innamora.

La musica
Spesso è un mare, la musica, che mi prende ogni senso!
A un bianco astro fedele,
sotto un tetto di brume o nell’etere immenso,
io disciolgo le vele.

Gonfi come una tela i polmoni di vento,
varco su creste d’onde,
e col petto in avanti sui vortici m’avvento
che il buio mi nasconde.

D’un veliero in travaglio la passione mi vibra
In ogni intima fibra;
danzo col vento amico o col pazzo ciclone

sull’infinito gorgo.
Altre volte bonaccia, grande specchio ove scorgo
La mia disperazione!

Ad una passante

Urlava attorno a me la via, senza pietà.
Alta, snella, in gramaglie, sovranamente triste,
con sontuosa mano sollevando le liste
dell’abito, guarnito di ondosi falbalà,

e con gamba di statua, passò una donna: vidi,
bevvi nell’occhio suo, con spasimi d’insano,
come in un cielo livido, gravido d’uragano,
dolcezze ammalianti e piaceri omicidi,

Fu un lampo… poi la notte. Fuggitiva beltà,
nel cui sguardo, all’istante, l’anima mia risorse,
non ti vedrò più dunque che nell’eternità?

Altrove, e via di qui! Troppo tardi! mai, forse!
Poiché corriamo entrambi a ignoto e opposto sito,
o tu che avrei amato, o tu che l’hai capito!

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